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martedì 8 luglio 2025

Quale futuro per una Russia post-Putin?



I. Putin dopo Putin

Ipotizziamo. Ipotizziamo che un domani si arrivi ad intravedere una Russia post-Putin, quantomeno per ragioni di età. Immaginiamo. Immaginiamoci che il suo regime sopravviva alla guerra in Ucraina e che nel 2036, all'età di 84 anni Putin decida di ritirarsi lasciando le redini della Russia ad un suo successore di cui, en passant, ad ora non vi è traccia.

Pensiamo. Pensiamo a come potrebbe quindi trasformarsi la Russia al verificarsi di uno scenario lineare non-traumatico come questo. La successione, preparata da anni, andrebbe a compimento attraverso elezioni pilotate alla scadenza del mandato presidenziale (marzo 2036), precedute però da un serrato ribilanciamento dei poteri all'interno dei vari cerchi che sorreggono l'apparato di Putin, di cui poco o nulla viene fatto trapelare all'esterno; in altre parole, spoil-system alla russa con regolamenti di conti molto definitivi nelle segrete stanze del potere e riposizionamento di alleanze tra le varie fazioni.

Gli apparati, depurati degli elementi apicali usciti sconfitti dal rimpasto, semplicemente cambierebbero il rispettivo referente politico in coerenza con la nuova nomenklatura

I servizi di sicurezza, da mesi entrati in fibrillazione e bene attenti a rivendicare il proprio ruolo di cani da guardia del regime, si troverebbero pronti a gestire e reprimere eventuali emergenze negli immensi spazi imperiali.

La chiesa ortodossa, ovvero il suo centro politico-spirituale rappresentato dal Patriarcato di Mosca non farebbe altro che riconfermare il proprio allineamento al potere politico in una ennesima, scontatissima riproposizione ad infinitum della Triade di Uvarov (Zar, Chiesa, Nazione).

Le opposizioni, azzerate da 30 anni di regime putinista si ritroverebbero ancora una volta escluse dalla contesa e relegate a qualche compiacente figura di facciata, buona solo a soddisfare i requisiti esteriori di un inesistente pluralismo elettorale. 

Il popolo, apaticamente consapevole della propria irrilevanza ma tranquillizzato dal nulla-cambi nella mediocre routine.di ogni giorno, si presterebbe al gioco applaudendo, come da copione, quella specie di gigantesco Truman Show gattopardesco, tra diluvi di retorica, cerimonie solenni e mausolei dedicati all'uscente padre della patria.

In altre parole, il gigantesco apparato di potere della Russia imperiale putinista non farebbe altro che perpetuare sé stesso come in una specie di eterno ritorno dell'eguale. Alla fine della transizione, nulla quindi vi sarebbe di mutato, con un Putin in uscita mandante del potere ad un Putin in entrata.

Immagine iconizzata di Putin. Questi santini sono stati inseriti nei pacchi-dono spediti ai soldati al fronte dagli attivisti di Russia Unita 

II. Circolo vizioso

Dunque, nessuna possibilità di rinnovamento democratico, nessun cambio di strategia geopolitica, nessuna bonifica della cleptocrazia mafiosa su cui si regge il Cremlino; e soprattutto, nessun ripudio del presunto ruolo storico della Russia nel mondo, vale a dire quell'humus infetto nel quale da cinque secoli maturano le ambizioni imperiali di Mosca.

Ed ecco il punto. Finché Mosca continuerà a ritenersi una potenza imperiale, per quanto stracciona sotto la patina dorata, rimarrà incompatibile con la Democrazia ed anche con quei principi base che regolano il civile rapporto fra stati (uguaglianza sovrana, non-intervento negli affari interni, soluzione pacifica delle controversie, cooperazione, diritti umani e divieto dell'uso della forza), avendo invece la stessa forza quale unico paradigma comprensibile alla leadership del Cremlino, o quantomeno la maskirovka come metodo di dissimulazione in attesa dell'occasione per poter usare la forza.

Non bisogna farsi illusioni. Non è possibile modificare in meglio la Russia lasciandola uguale a sé stessa, né impiantare semi di Democrazia in un sistema intrinsecamente autocratico, che non ha mai conosciuto né Riforma, né Illuminismo, né tantomeno un Liberalismo che non fosse quello inquinato e pilotato dalle oligarchie politiche corrotte provenienti dal sovietismo: tutti elementi senza i quali una Democrazia non è semplicemente possibile.

Non è neanche pensabile che la Russia possa evolversi come atto di fede da parte di pochi democratici illuminati, che rimarrebbero comunque sempre appesi ad un filo e perennemente sotto minaccia di un ritorno della reazione, attivamente mobilitata a boicottarli grazie alla connivenza tra apparati deviati, preti ignoranti, cleptocrati ingordi, politici corrotti e fanatici nostalgici delle peggiori nefandezze di destra e di sinistra: in altre parole una riproposizione degli eventi post-1991, quando KGB, mafie ed apparati, ex-sovietici in collusione tra loro, si riciclarono attraverso un semplice cambio d'abito, prendendo il controllo dell'intero sistema e bloccando di fatto ogni possibile transizione democratica.

La Russia non è redimibile col cambio d'abito e qualche buona intenzione e lo dimostrano il ritorno alla venerazione di Stalin, l'irrilevanza del Liberalismo, il rinnovarsi di una mitopoiesi imperiale decisamente fuori tempo massimo, con lo stesso Putin che si paragona a Pietro il Grande, con la fideizzazione verso una Chiesa ottusa e retrograda nonché postulatrice delle più grevi leggi illiberali approvate dalla Duma ed infine con l'asservimento ad un regime che continuamente riporta indietro le lancette della Storia senza sollevare reazioni e proteste diffuse nella società civile, ma anzi trovando pieno appoggio tra gli apparatchiki più devoti: come il disegno di legge presentato alla Duma nel 2022 dal deputato Evgenij Fedorov di Russia Unita, che propone il disconoscimento dell'indipendenza lituana a suo tempo approvata dal Consiglio di Stato sovietico.

Un pope ortodosso benedice una matrioska di Stalin. Sotto il regime di Putin la manipolazione della Storia è diventata arma di condizionamento ideologico


Ed ancora, è del tutto implausibile che uno stato dichiaratamente imperiale come la Russia e come tale rivendicato dallo stesso Putin anche attraverso la reiterata negazione dell'identità ucraina, possa autonormalizzarsi pacificamente rinunciando a cinque secoli di mistica imperialista, propaganda tossica e cattivi maestri. Uno stato-regime che tutt'ora, con Lavrov e lo stesso Putin, rende dogma il proprio revisionismo storico, negando d'essere una potenza coloniale dominatrice di territori e popoli, di avere perpetrato eccidi di massa e pulizie etniche (come il genocidio dei Circassi di metà '800 e l'Ürkün dei Kirghisi nel 1916), di avere cercato di cancellare le identità nazionali (popolazioni Khanty ed Evenki) sottraendo bambini ai loro genitori e rinchiudendoli in istituti di stato lontani dalle loro tradizioni, di avere perseguito politiche di persecuzione religiosa e conversioni forzate (popolazione Shor), di avere russificato con la forza decine di nazioni autoctone imponendo l'alfabeto cirillico e proibendo la lingua locale (cabardino-circassi, tatari, baschiri, kazaki). In altre parole crimini razziali totalmente ignorati e dimenticati, a differenza di quelli perpetrati dagli Occidentali nei confronti delle popolazioni amerinde. Il tutto, va da sé, indipendentemente da quale regime imperasse a Mosca in quel momento: l'autocrazia zarista, il totalitarismo sovietico o l'autoritarismo mafiocratico putinista.

In Russia la propaganda patriottarda imperial-revanscista è invasiva e funzionale al revisionismo storico del regime



Da tutto ciò ne deriva che l'unica possibilità per la Russia di imboccare un percorso democratico ragionevolmente solido è la rinuncia alle proprie ambizioni imperiali: che in quanto difficilmente innescabile per motu proprio spontaneo, dovrà necessariamente passare attraverso un trauma catartico paragonabile a quello subito dalla Germania nazista, in grado cioè di cancellare le ambizioni imperiali, oltre alla stessa idea di eccezionalità della Russia, alla sua presunta "missione storica" ed al suo distorto senso di primazia sopra le nazioni slave e quelle ortodosse, compresa la nefasta sinergia tra Stato russo e Chiesa ortodossa di Mosca.


III. Spezzare la Triade

Tale scenario, necessariamente traumatico, sarebbe infatti incompleto se non implicasse anche una drastica scissione del rapporto tra Stato e Chiesa con quest'ultima che all'interno del regime putinista svolge di fatto il ruolo di ministero "dell'ideologia religiosa", ovvero potere dentro il potere a salvaguardia reciproca. 

In tal senso è quindi indispensabile che la catarsi spezzi definitivamente quel rapporto malsano che è la Triade di Uvarov, da secoli legittimazione del potere dello zar quale rappresentante di Dio sulla terra. Quindi, separazione netta dei ruoli tra Stato e Chiesa ortodossa russa, nonché all'interno di quest'ultima un ridimensionamento del ruolo del Patriarca di Mosca alla luce della nuova realtà canonica prodotta dall'autocefalia della Chiesa ortodossa ucraina (proclamata il 5/1/2019), che rende di fatto anacronistico il titolo di "Patriarca di tutte le russie" attribuito al Primate di Mosca.

Oltretutto, il ridimensionamento della Chiesa ortodossa russa renderebbe insostenibile la ricorrente tentazione di primazia (ubi russicus ibi ecclesia Russia) sul mondo ortodosso rivendicata da Cirillo, tradizionalmente attribuita al Patriarca di Costantinopoli (primus inter pares) ma contestata da Mosca per ragioni canonico-ideologiche: con conseguenti ricadute positive sia in termini di dialogo ecclesiale con le altre chiese autocefale, sia in termini sociali e politici relativamente alle ingerenze della Chiesa negli affari di stato ed in quelli privati dei cittadini.


IV. Verso nuovi scenari

Per indurre questo trauma catartico è però indispensabile che la Russia si frantumi lungo linee etnonazionali, per implosione interna dovuta all'introduzione di elementi catalizzatori che diano ad almeno alcuni dei suoi frammenti maggiori, segnatamente nelle regioni ad ovest degli Urali più prossimi al mondo occidentale, l'opportunità di resettare il passato attraverso alternative democratiche applicate a territori ben più ridotti e quindi gestibili rispetto alla Russia, nonché sopra popolazioni più omogenee e depurate dai falsi miti della Storia e pertanto scevre da rigurgiti nazional-imperiali e relative ambizioni suprematiste.


Non si tratta ovviamente di un'idea nuova e totalmente astratta, ma di un'ipotesi di lavoro che dal 2022 viene discussa dal Forum delle Nazioni Libere della Post-Russia (FNLPR) o Forum Svobodnykh Narodov Post-Rossii, vale a dire una piattaforma partecipata da rappresentanti di numerose etnie sottomesse alla Federazione Russa che ha come obiettivo la "deimperializzazione, decolonizzazione, demilitarizzazione, denuclearizzazione e deputinizzazione dell'intero territorio della Russia".


Una ipotesi di partizione della Russia, prodotta dal Forum della Nazioni Libere



Ma quale potrebbe essere questi elementi catalizzatori? Non molti per la verità. Ad esempio una sconfitta militare, oppure una grave crisi economico-finanziaria magari innescata da un crollo del prezzo del petrolio o dall'onda lunga dell'emorragia finanziaria causata dalla guerra in Ucraina, che porti a proteste diffuse seguite da una via-via ridotta capacità del regime di reprimerle, ovvero da una eccessiva brutalità iniziale nel farlo, che finisca per moltiplicarle nel tentativo di soffocarle. 

Alle tensioni economiche potrebbero poi aggiungersi quelle etniche, particolarmente in quei territori a rischio latente nel Caucaso (Daghestan, Cecenia, Ossetia) o nel Far-East, oltretutto penalizzati da maggiore miseria e conseguentemente, per via degli incentivi all'arruolamento, da perdite militari sproporzionate rispetto alle repubbliche "biondorusse".

L'entrata in crisi del centralismo repressivo porterebbe poi quasi certamente alla nascita di centri di potere alternativi nella sterminata periferia, legati ad istanze regionaliste, religiose o etniche, o anche economiche per la necessità di porre sotto tutela, da parte dei raïs locali, risorse naturali (gas, petrolio) o grandi impianti di sfruttamento. Pensiamo ad esempio alle PMC di Gazprom e Lukoil, che sebbene attualmente sotto tutela del MoD potrebbero essere chiamate a proteggere gli interessi dei loro finanziatori invece che quelli di uno Stato nella fase del suo collasso.

L'implosione della Russia non sarebbe quindi indolore e porterebbe ad anni di instabilità e caos geopolitico in particolare nei territori più remoti controllati da satrapi e signori della guerra in lotta tra loro, quando non manovrati da potenze esterne (Cina, Turchia). Si aprirebbe la questione nucleare legata al controllo di migliaia di testate tattiche e strategiche, parte delle quali in carente stato di manutenzione e forse non utilizzabili, ma comunque appetibili. Si assisterebbe a quelle fasi di anarchia e violenza tipiche di ogni impero che collassa (da quello Austro-Ungarico nel 1918-19, a quello russo nel 1917-1921). 

Si andrebbe incontro quasi certamente ad una fase recessiva mondiale con possibili carenze di materie prime e crisi migratorie, tanto più lunga quanto più l'Occidente, per timore del caos, si sarà dimostrato riluttante ad accelerare la crisi, anziché favorirla con ogni mezzo possibile proprio al fine di abbreviarla.


Ciò nonostante l'Occidente non dovrebbe astenersi dall'alimentare la disgregazione russa, ma anzi porsela come obiettivo strategico, in quanto le conseguenze ed i costi economici e sociali di una guerra in Europa sarebbero enormemente superiori, per non parlare di quelli politici legati alla possibilità di un crollo del sistema democratico qualora Mosca riuscisse a concentrare i propri punti di forza contro i punti deboli dell'Occidente.

Da qui la necessità da parte dell'Occidente in generale e dell'Europa in particolare, di dominare gli eventi entro il proprio spazio geopolitico anziché limitarsi a fare da spettatore passivo, assumendosi oneri e responsabilità: compresa la difficile decisione storico-strategica di innescare ed accompagnare a soluzione una crisi prevista, piuttosto che farsi trascinare e magari travolgere da una crisi imprevista voluta da altri.

Il progetto, visionario ed anche un po' mistico, di un'Europa-potenza estesa da Lisbona agli Urali non deve essere un tabù ideologico nel mondo fortemente polarizzato che si sta preparando, ma deve necessariamente passare per una irreversibile catarsi della società russa elaborata per anni, forse per generazioni, fermo restando che il suo centro simbolico non potrà comunque mai essere Mosca bensì qualche punto nella Mitteleuropa all'incrocio dei mondi latino, germanico e slavo.

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