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domenica 24 agosto 2025

E se invece fossero le Svalbard?

I. Introduzione 

In un articolo pubblicato su questo blog poche settimane fa, avevo esaminato la possibilità, concreta, entro i prossimi anni, di un attacco russo limitato al controllo del Gap di Suwalki, da chiudersi in pochi giorni, prima di una risposta collettiva NATO innescata dall'Art. 5.

In un altro articolo esprimevo invece i miei dubbi sulla fattualità dell'Art. 5 e sulla non-remota possibilità che potesse invece essere interpretato cavillosamente da alcuni partner dell'Alleanza, in modo da evitare l'impiego sul campo di truppe combattenti in un contesto di aggressione russa a qualche membro della NATO: nella fattispecie i paesi baltici.

Il presupposto, per ambedue gli articoli era la volontà di Mosca di testare la solidità dell'Occidente mediante un'azione altamente remunerativa, rapida e limitata, capace però di mettere in crisi la tenuta politica dell'Alleanza Atlantica prima ancora che ne venisse messa alla prova la solidità militare.

Un attacco contro i paesi baltici ed in particolare la Lituania avrebbe tali caratteristiche: garantirebbe a Mosca il collegamento con l'oblast di Kaliningrad e porterebbe all'isolamento dei baltici; sarebbe sufficientemente rapida da concludersi prima di una significativa mobilitazione della NATO; e sarebbe limitata nello spazio e nei tempi al punto da dare modo ai più riluttanti partner dell'Alleanza di aggirare il principio di difesa collettiva sancito dall'Art. 5.

Il risultato di una manovra del genere perpetrata da Mosca in presenza di una superiorità militare russa limitata al solo scenario (quindi senza dover necessariamente attendere di una ricostruzione militare post-Ucraina) sarebbe politicamente disastroso per l'Occidente e causerebbe una perdita di credibilità da parte della NATO, tale da causarne verosimilmente il collasso politico.

Da parte russa significherebbe invece la perfetta applicazione del principio di correlazione delle forze, ottenendo il massimo risultato con il minimo delle forze: uno scenario slegato dagli equilibri militari effettivi tra i blocchi e che quindi avrebbe tempistiche difficilmente prevedibili dagli analisti occidentali. In altre parole la scelta del quando e dove colpire spetterebbe a Mosca con conseguente acquisizione dell'iniziativa strategica.

Lo scenario tattico più plausibile, all'interno di un quadro strategico di questo tipo è quindi il Gap di Suwalki, che proprio per questa ragione sta attraversando un processo di rafforzamento, con nuovi reparti sia polacchi che lituani e fortificazioni di confine da completarsi nel breve-medio periodo (si veda qui). 

Suwalki però non è l'unica opzione, in quanto ne esiste almeno un'altra che potrebbe garantire significativi ritorni al Cremlino, sia in termini strategici in quanto bloccherebbe l'accesso al mare artico, sia politici perché sarebbe anche in questo caso un test probante sulla compattezza della NATO.

Parliamo dello Scenario Svalbard


II. Porta dell'Artico

Politicamente appartenenti alla Norvegia le isole Svalbard rivestono da sempre una elevata importanza strategica in quanto controllano l'accesso al Mare di Barents attraverso il cosiddetto Bear Gap, ossia il tratto di mare tra il Sørkapp, al vertice meridionale di Spitzbergen e la terraferma norvegese.

Questo passaggio, al suo interno suddiviso in due canali di circa eguale larghezza dalla disabitata Isola degli Orsi o Bjørnøja, rappresenta la rotta più diretta per accedere al bastione strategico russo di Kola nonché, viceversa, per permettere alla flotta russa del nord e relativi sottomarini nucleari, di uscire dal loro "santuario" di Barents-Kara e raggiungere il Mare di Norvegia. Non a caso, durante la WWII le isole furono contese tra Alleati e Tedeschi ed occupate saltuariamente dagli uni e dagli altri fino alla resa dell'ultimo presidio tedesco di una stazione radio-meteorologica nel settembre 1945.

Il Bear Gap è la porta d'accesso ai santuari degli SSBN russi nel mare di Barents. La regione è considerata da Mosca fondamentale per la sicurezza nazionale


Il Bear Gap rappresenta inoltre il terminale naturale occidentale della rotta commerciale  subpolare North Sea Route (NSR) il cui sviluppo consentirebbe di unire l'Estremo Oriente con l'Europa evitando la circumnavigazione dell'Asia. A tale proposito la NSR è strategicamente prioritaria per Mosca, per il potenziale accesso di superpetroliere ai terminali di idrocarburi della costa siberiana: traffico tutt'ora limitato ma potenzialmente espandibile per via della ritirata dei ghiacci.

Non è un caso dunque, che negli ultimi anni Mosca abbia rafforzato sensibilmente i propri avamposti nell'Artico, attraverso la costruzione/rivitalizzazione di nuove e vecchie basi disseminate lungo la costa siberiana e negli arcipelaghi artici russi: una sorta di "filo di perle militare" che garantisce a Mosca importanti capacità di sea-denial sopra buona parte dell'Oceano Artico.

In particolare, dopo il semi-abbandono degli anni Novanta-Duemila, sono stati rimilitarizzati gli arcipelaghi della Nuova Zemlya, della Terra di Francesco Giuseppe e delle Isole della Nuova Siberia, con basi aeree, stazioni radar e sistemi missilistici A/A ed antinave. Il tutto a costituire un antemurale alla costa siberiana, alle risorse economiche ed alle sue installazioni militari strategiche.

Il dispositivo difensivo russo nell'Artico. Si noti come la NSR (linea nera) passi attraverso le bolle A2/AD per poi attraversare Bering ad est e il Bear Gap ad ovest. Una conquista russa delle Svalbard chiuderebbe l'accesso ai santuari SSBN nel mare di Barents facendo avanzare di linea difensiva russa fino a 700 km verso ovest





Fuori dal controllo di Mosca rimane però il varco aperto delle Svalbard, unico arcipelago dell'artico eurasiatico a non fare parte del dispositivo strategico russo. C'è però una ragione: dal 1920 le Svalbard sono assoggettate ad un trattato internazionale, firmato anche da Mosca, che ne ha riconosciuta la sovranità norvegese in cambio della totale smilitarizzazione delle isole, ove non possono essere installate basi militari permanenti.

Il trattato del 1920 tuttavia, riconosce a Oslo il diritto di proteggere le isole, ragione per la quale una fregata della Marina Militare norvegese mostra bandiera un paio di volte all'anno a Longyearbyen, mentre la presenza della Guardia Costiera è rappresentata dai pattugliamenti di un rompighiaccio d'altura. Altresì, dal 1951 le isole sono incluse nell'area difensiva della NATO mentre più recentemente l'Estremo Nord è stato per la prima volta menzionato come parte del Concetto Strategico NATO nel giugno 2022, pochi mesi dopo il tranciamento (gennaio 2022) del cavo sottomarino di collegamento tra Longyearbyen e la terraferma norvegese. Da notare come il cavo sia stato tranciato in prossimità di una rotta abitualmente frequentata da pescherecci russi e dalle loro reti a strascico.

A parte questa presenza simbolica, volta a ribadire la sovranità norvegese sulle isole, le Svalbard non rappresentano, al di là della loro naturale posizione strategica, alcun pericolo fattuale nei confronti di Mosca. 

Nonostante ciò, nel corso del tempo vi sono stati periodi di tensione tra Russia e Norvegia, soprattutto in merito all'interpretazione del Trattato 1920 relativamente alle questioni economiche legate alle acque territoriali, ZEE e piattaforma continentale, non disgiunte da presunti antichi diritti risalenti ai cacciatori Pomory del XVI° Secolo da poco riemersi nella narrativa ultranazionalista russa. In altre parole pretesti, che Mosca ha utilizzato per innalzare lo stato di tensione: come il 14 marzo 2025, con la convocazione al ministero degli esteri russo dell'ambasciatore norvegese, cui è stata consegnata una nota di protesta circa una presunta "militarizzazione" delle Svalbard in "violazione" al trattato del 1920, con riserva del "diritto di agire" per ripristinarne i termini.

Nel tipico stile del Cremlino, vere e proprie provocazioni sono state poi messe in atto negli ultimi anni: ad esempio nel giugno 2024, con l'innalzamento presso Barentsburg, seconda cittadina delle Svalbard abitata da una piccola comunità di minatori russi, di una grande bandiera sovietica con falce e martello; oppure l'erezione non autorizzata da Oslo, di una imponente croce ortodossa addobbata del nastro di San Giorgio, nella cittadina mineraria disabitata di Pyramiden nell'agosto 2023, da parte del vescovo oltranzista Iyakov, fedelissimo di Kyril e sostenitore dell'invasione dell'Ucraina. Una esibizione palesemente propagandistica che punta a "marcare il territorio" indebolendo la sovranità norvegese sull'arcipelago e contestualmente ribadendo la narrativa di un Artico facente parte del "Mondo Russo".

Ancor più di recente, un violento attacco verbale del Ministero degli Esteri russo ha rilanciato contro Oslo l'intero armamentario della propaganda aggressiva del Cremlino, questa volta prendendo a pretesto la visita alle Svalbard del principe ereditario Haakon (14 agosto) ed accusando la Norvegia di "discriminazione anti-russa", "militarizzazione" e "violazione del Trattato delle Svalbard" a "detrimento degli interessi russi": praticamente il refrain già utilizzato da Mosca contro l'Ucraina ed in varie altre occasioni e che già  era stato rispolverato da Nikolai Patrushev nel marzo scorso.

Ma quali sarebbero questi "interessi" rivendicati da Mosca?

Il Trattato 1920 riconosce ai 46 paesi firmatari la possibilità di sfruttamento paritetico delle risorse delle Svalbard nel rispetto delle leggi norvegesi. In realtà di questi 46 paesi l'unico ad avere attivamente sfruttato tale opportunità è stata l'URSS prima e la Russia dopo, attraverso una miniera di carbone attorno alla quale è sorta nel tempo la cittadina mineraria di Barentsburg, abitata quasi esclusivamente da minatori russi e poi in parte svuotatasi a causa del declino del carbone negli ultimi decenni.

Immagini di Barentsburg. La cittadina ha un aspetto desolato ma i simboli del passato sovietico sono ancora ben visibili (sopra). Il terminale di carico del carbone (sotto) esibisce una bandiera rossa, come se il tempo si fosse fermato. Il confronto con Longyearbyen è piuttosto stridente. Foto da Google Earth



La presenza russa alle Svalbard è tuttavia stata mantenuta per evidenti ragioni politiche ed in tempi recenti la compagnia mineraria statale russa Arktikugol che dai tempi sovietici ha in gestione le attività economiche russe mell'arcipelago, ha avviato una linea commerciale navale tra Murmansk e Longyearbyen a mezzo della quale turisti russi possono approdare alle Svalbard ovvero in area Schengen, senza dover richiedere un visto d'ingresso norvegese. Nel giugno scorso uno di tali tour "turistici" ha riportato a Longyearbyen il vescovo Iyakov, il quale si è poi esibito in uno dei suoi soliti show propagandistici.


Tutto questo insieme di provocazioni e minacce ricorda le operazioni ibride perpetrate dalla Russia in Crimea nel 2014, compreso il ruolo della Chiesa ortodossa e l'afflusso di ultranazionalisti camuffati da turisti. Operazioni che alle Svalbard sono state avviate da prima dell'invasione dell'Ucraina ed in effetti classificate come ibride dagli analisti.

Dopodiché, se fino al 2021 le possibilità di un colpo di mano militare russo contro le Svalbard apparivano oggettivamente scarse, per via dell'interesse di Mosca nel mantenere lo status-quo del profondo nord in correlazione ai vantaggi economici e commerciali derivati dai rapporti con l'Occidente, da dopo l'invasione dell'Ucraina e l'azzeramento delle relazioni con l'Europa la prospettiva, nell'ottica di Mosca, potrebbe essere cambiata drasticamente.


III. Un nuovo scenario

Il caos geopolitico innescato da Mosca con l'invasione dell'Ucraina ed il possibile venire meno degli automatismi dell'Art. 5 NATO causato dall'elezione di Trump e dalla presenza nella stessa NATO di corpi estranei legati a Mosca come Ungheria e Slovacchia, potrebbe indurre il Cremlino a riconsiderare la correlazione delle forze alla luce di queste nuove dinamiche.

Da qui la possibilità che possa ritenere conveniente mettere alla prova la coesione della NATO innescando scenari ad elevata proficuità per sé e fortemente destabilizzanti per l'Occidente.

Uno Scenario Svalbard potrebbe quindi essere una alternativa "economica" a quello di Suwalki, a maggior ragione se dovesse continuare, come probabile, il rafforzamento del dispositivo NATO nel Baltico ed in Polonia ed il bilancio della correlazione delle forze dovesse pertanto risultare meno favorevole per Mosca.

In un contesto del genere gli strateghi del Cremlino potrebbero essere tentati da un approccio laterale, in grado cioè di trovare soluzioni alternativa agli schemi tradizionali logici, che particolarmente in ambito militare sono sempre piuttosto difficili da superare. La stessa guerra ibrida, nella sua natura fluida e multispettrale è un esempio riuscito di approccio laterale ad un problema strategico complicato: vincere in condizioni di inferiorità complessiva utilizzando a proprio vantaggio le debolezze del nemico prima ancora dei propri punti di forza.

Da qui la possibilità che la Russia rinunci all'idea di affrontare la NATO là dove la NATO più se lo aspetta e scelga invece una alternativa meno rischiosa rispetto a Suwalki ma potenzialmente in grado di produrre una concatenazione di eventi causa-effetto altamente destabilizzanti.

Vediamo quindi quali sono i vantaggi nella scelta di uno Scenario Svalbard, che con un volo di fantasia potrebbe essere denominata Operatsiya Pomory.


1. Nessuna opposizione. A differenza di Suwalki, le Svalbard sono totalmente indifese. Non esiste alcuna forza in grado di opporsi ad una task-force d'invasione ben bilanciata ed appoggiata da assetti aeronavali. L'occupazione dell'isola principale di Spitzbergen potrebbe essere completata in 24-48h senza incontrare resistenza e mettendo Norvegia, NATO ed Occidente davanti al fatto compiuto nell'arco di un weekend.

2. Sorpresa strategica. Lo Scenario Suwalki passa inevitabilmente attraverso la piena ed aperta collaborazione della Bielorussia, sul cui territorio dovrebbero installarsi le forze russe di invasione, sia pure sotto la copertura di una esercitazione, quale ad esempio una delle prossime Zapad. Nondimeno, l'ammassamento di cospicue forze blindo-corazzate russe in prossimità del confine lituano non passerebbe inosservato alle intelligence occidentali e suonerebbe come un campanello d'allarme che la NATO potrebbe sfruttare. Viceversa uno Scenario Svalbard non implicherebbe da parte russa che minimi preparativi facilmente occultabili nonché un dispiegamento di forze decisamente più ridotto rispetto ad uno Scenario Suwalki, con conseguente sorpresa strategica quasi certamente garantita.


3. Fatto compiuto. L'attacco potrebbe avvenire in tre rapide fasi e sarebbe portato direttamente dalle basi russe: 

🔹una prima fase aeromobile con attacco eliportato da parte di un paio di centinaia di Spetsnaz-GRU o parà su Mil Mi 28 con serbatoi supplementari decollati dalla base di Nagurskoye, nella Terra di Francesco Giuseppe, a 700 km da Longyearbyen (2,40h di volo). Questo gruppo avrebbe il compito, all'Ora Zero (hZ) di impossessarsi dell'aeroporto, della adiacente stazione satellitare SvalSat (si veda oltre) e della centrale elettrica, occupare la capitale, arrestare il governatore, neutralizzare la piccola polizia locale e prendere contatti con la comunità russa di Barentsburg. Del gruppo farebbero parte agenti FSB, incaricati di porre sotto controllo scienziati e ricercatori, in particolare quelli dipendenti da SvalSat ed eventualmente reprimere qualsiasi opposizione, nonché monitorare possibili infiltrazioni di SF NATO. Questa ondata d'attacco, sarebbe seguita da una seconda ondata da trasporto su Il-76. L'aeroporto di Longyearbyen con la sua pista di 2,5 km messa in sicurezza dagli spetsnaz si presterebbe ad accogliere i grossi Il-76 carichi di componenti per una batteria A/A Pantsir da rendere immediatamente operativa a protezione della forza d'attacco. Nelle successive 24h (Z+24) la forza d'attacco verrebbe raggiunta da una forza navale anfibia.

L'aeroporto di Longyearbyen sarebbe il primo obiettivo di una invasione russa


Questa prima fase sarebbe stata preceduta di alcuni giorni dal preposizionamento dei due sottomarini SSN Yasen in forza alla Flotta del Nord in un'area di mare compresa tra l'Islanda, l'isola di Jan Mayen e la costa norvegese, ovvero in posizione tale da poter battere le basi degli F-35 della Luftforsvaret di Ørland, Evenes e Rygge ed eventualmente quella degli SSBN britannici di Faslane, in Scozia.

🔹Una seconda fase navale, con arrivo entro 24h (Z+24) a Longyearbyen di una forza anfibia strutturata attorno alla Ivan Gren e ad un paio di Ropucha, sufficienti a trasportare una parte della 80a Brigata Artica di Alakurrti, presso Pechenga, attualmente dissanguata in Ucraina, ma che in previsione verrebbe richiamata e ricostruita. Il suo ruolo sarebbe quello di formare il presidio delle isole e completare una bolla difensiva A2/AD attorno all'arcipelago, mediante l'installazione di difese missilistiche antiaeree ed antinave, nella fattispecie batterie Pantsir e Bastion/P,  oltre ad un radar Sopka-2, necessario per estendere la bolla A2/AD fino ad un raggio di 450 km ad ovest delle Svalbard. Questo genere di attività, per le quali sarebbero necessari ulteriori trasbordi navali da Murmansk, potrebbero essere portate a termine in pochi giorni e la bolla resa operativa in meno di una settimana. Per garantire il proprio arrivo a Longyearbyen entro Z+24, la forza da sbarco dovrebbe trovarsi all'Ora Zero in navigazione addestrativa simulata nel Mare di Barents, circa 600 km a N-O di Rogachevo, nella Nuova Zemlya. 

🔹Contemporaneamente allo sbarco anfibio, il resto della Flotta del Nord verrebbe fatto salpare dalle proprie basi di Kola e schierato entro Z+48 in posizione di blocco ad ovest del Bear Gap ed a metà strada dal GIUK Gap, pronta ad intervenire contro eventuali forze navali NATO che tentassero di forzare il blocco. Allo stesso tempo, squadroni di bombardieri Bear equipaggiati con missili antinave verrebbero messi in preallarme ed alcuni tenuti in volo di pattugliamento circolare sulla verticale della flotta. Lo spazio aereo NATO sopra Norvegia continentale, Islanda e Groenlandia non verrebbe violato ma solo sfiorato con intento chiaramente intimidatorio. La base aerea russa di Olenya (Olenogorsk-1) presso Murmansk sarebbe perfettamente idonea per supportare le missioni dei bombardieri antinave, mentre quella di Severomorsk-1 per l'appoggio alle operazioni dei cargo da trasporto (Il 76), degli aerei ed elicotteri antisom (Il 38 e Ka 27)  dei ricognitori navali (Tu 142) e dei caccia da superiorità aerea (Su 33).

Queste tre fasi operative si svolgerebbero in sequenza sincronizzata ed in parte sovrapposta, in modo d rendersi pienamente operative entro le prime 48h.


Ovviamente, tutte queste manovre non passerebbero inosservate. Il decollo della prima ondata d'attacco da Nagurskoye (hZ-03) verrebbe infatti individuato quasi immediatamente e seguito passo-passo dal radar OTH norvegese di Vardø che quindi metterebbe in allarme gli F-35 di Evenes. Tuttavia le intenzioni russe (dissimulate da esercitazione aeronavale) non potrebbero essere disvelate con certezza fino alla effettiva violazione dello spazio aereo delle Svalbard (hZ-00,30) ed a quel punto rimarrebbero solo pochi minuti alle autorità norvegesi per prendere la difficile decisione politico-militare di inviare gli F-35 ad intercettare ed abbattere i Mi 28 da trasporto e relativi caccia di scorta. Vi sarebbe quindi il rischio, assai concreto, del fatto compiuto prima che da Oslo arrivi luce verde politica a qualsiasi reazione militare norvegese. 


4. Azione Limitata. Ad occupazione avvenuta, il Cremlino potrebbe dichiarare il "Mission Accomplished" dando assicurazioni alla NATO di non voler intraprendere alcuna altra operazione offensiva, salvo minacciare rappresaglie apocalittiche qualora il blocco delle Svalbard venisse violato o se il territorio russo fosse colpito. 

Vista l'area operativa remota e le minori conseguenze geopolitiche immediate rispetto ad uno Scenario Suwalky, parte della NATO e dell'Occidente (USA, Ungheria, Slovacchia, Italia, Spagna, Grecia...) potrebbe persuadersi a non reagire militarmente ("morire per le Svalbard?"), non ottemperando all'Art.5 e lasciando quindi sola la Norvegia, i paesi balto-scandinavi e probabilmente UK e Canada.

A quel punto la credibilità della NATO finirebbe sbriciolata e si aprirebbe una insanabile spaccatura tra gli alleati con potenziali conseguenze imprevedibili e ricadute anche sulla UE. Anche in questo caso, il risultato per Mosca sarebbe un poderoso vantaggio strategico-politico ad un costo in termini di rischio decisamente inferiore rispetto a Suwalki.


5. Disponibilità delle forze. Una campagna militare che punti alla liberazione delle Svalbard potrebbe essere estremamente complicata per una NATO priva del supporto americano, a causa della scarsità di naviglio idoneo a condurre una vera e propria battaglia aeronavale nel Nord Atlantico - Mare di Norvegia contro una Flotta del Nord che, per quanto ridimensionata rispetto al periodo d'oro sovietico, rimane pur sempre dotata di notevoli capacità d'attacco soprattutto missilistiche. La vasta disponibilità e dispersione delle basi aeronavali tra la penisola di Kola, la Nuova Zemlya e la regione di Arcangelo offre a Mosca numerose alternative strategiche anche in caso di neutralizzazione di una o più di esse, con conseguente garanzia di poter infliggere gravi perdite alle forze NATO. Rispetto a Suwalki, dove le forze russe sarebbero molto più concentrare e quindi vulnerabili entro spazi dimensionalmente ridotti, uno Scenario Svalbard coprirebbe un'area di oltre 2m di Km², sovente afflitta a da condizioni meteo-marine avverse. C'è quindi il rischio che la Marina Militare britannica, supportata da modesti apporti norvegesi, canadesi, tedeschi e forse da una squadra francese, non sia in grado di sostenere il peso delle operazioni. Rispetto a Suwalki, dove diversi paesi NATO (Polonia, Svezia, Finlandia, Germania, lo stesso UK...), sarebbero in grado di aggiungere reparti solidi alle forze multinazionali preposizionate nel Baltico (NATO EFP), una campagna aeronavale nel grande nord senza il supporto della 6a Flotta USA sarebbe quasi proibitiva.

L'area di mare tra le Svalbard, la Nuova Zemlja e la Terra di Francesco Giuseppe copre oltre 2m km². Nella cartina sono indicate le basi russe di Nagurskoye e Rogachevo e quelle norvegesi di Evenes e Vardø 



6. Scarso impatto mediatico internazionale. Una operazione limitata nel grande nord avrebbe scarso impatto mediatico al di fuori dell'Europa. La Cina, che ha impiantato alle Svalbard una stazione di ricerca asseritamente scientifica (in realtà dual-use) sollevando dubbi e creando frizioni con le autorità norvegesi, potrebbe vedere di buon occhio una occupazione russa delle isole, con cui verrebbe di fatto sigillata completamente la NSR ed interdetta ogni attività militare occidentale nell'immenso spazio artico tra le Svalbard e Bering. Per Pechino l'apertura di una Polar Silk Road ed uno sfruttamento in condominio con Mosca delle risorse artiche sarebbe garanzia di investimenti nell'economia russa e certezza di sostanziosi ritorni.

Analogamente, una amministrazione USA di impronta MAGA potrebbe essere blandita da un patto di non-interferenza russo verso una eventuale "questione groenlandese" che dovesse riemergere tra le macerie geopolitiche dello scacchiere artico lasciate dall'Operazione Pomory. Un patto del genere sarebbe il degno coronamento degli abboccamenti tra Washington e Mosca cominciati già ai tempi della prima amministrazione Trump, che avevano visto il negoziatore di Putin, Kirill Dimitriyev tentare l'intrigo con l'allora Segretario di Stato Rex Tillerson attorno ad una sorta di accordo di spartizione delle rispettive aree di influenza nell'Artico, poi recentemente rilanciato (marzo 2025) dallo stesso Dimitriev. Da notare come Dimitriev abbia fatto parte dello staff che ha accompagnato Putin al vertice in Alaska con Trump del 15 agosto scorso.

D tutto ciò ne deriva che un colpo di mano russo contro le Svalbard potrebbe essere percepito dalla comunità internazionale extra-europea come una questione locale di secondaria importanza, di certo inferiore ad una invasione di Suwalki. Questo anche a causa del blocco ai mezzi di comunicazione che Mosca imporrebbe attorno all'intera operazione, già di per sé logisticamente ardua da monitorare da parte dei media non-embedded e che verrebbe quindi coperta quasi unicamente dalla propaganda russa di regime.


7. Sfruttamento economico. L'occupazione delle Svalbard garantirebbe a Mosca lo sfruttamento selvaggio delle risorse e del fragile ambiente locale, finora tutelato dalle severe leggi norvegesi. Potrebbero ad esempio essere avviate massive prospezioni minerarie, in aree della piattaforma continentale delle Svalbard potenzialmente ricche di petrolio e gas naturale ed oggi soggetta a restrizioni, con conseguenti danni ambientali prodotti dalla tipica noncuranza in questo ambito, sovietica prima e russa dopo.


8. Interferenza satellitare. Presso l'aeroporto di Longyearbyen si trova il già citato SvalSat, vale a dire il centro di comunicazione satellitare delle Svalbard gestito da Kongsberg Satellite Services (KSAT) ed in grado di fungere da gateway per oltre 300 satelliti civili in orbita bassa (LEO), inclusi quelli per osservazione terrestre, comunicazioni, navigazione e missioni scientifiche. Tra questi vi sono Copernicus e Sentinel dell'ESA, Landsat della NASA e costellazioni commerciali come Planet o ICEYE. Complessivamente SvalSat gestisce il 40-50% del traffico downlink globale per satelliti LEO.

È del tutto plausibile quindi che una volta sbarcati i russi prendano il controllo di SvalSat, utilizzandolo poi come arma di pressione contro l'Occidente: potrebbero ad esempio spegnere le antenne bloccando l'afflusso dei dati, con danni finanziari gravissimi a settori come agricoltura (irrigazione basata su satelliti), shipping (navigazione) e media (trasmissione TV via satellite). Oppure potrebbero tentare di accedere ai server di SvalSat, estorcendo con la forza ai dipendenti le credenziali di accesso allo scopo di alterare i comandi uplink, variando l'assetto del satellite e inserendosi nel downlink prima che le varie authority (ESA, KSAT, NSM, CISA) riescano a mettere SvalSat in quarantena disconnettendola e spostando i satelliti su altre stazioni analoghe, come TrollSat, in Antartide e PokerFlat in Alaska. Inserendosi nei server, potrebbero anche cancellare petabyte di dati o anche minacciare la distruzione fisica degli impianti in caso di reazione: ovvero scenari paragonabili al tranciamento di cavi sottomarini e perfettamente configurabili in uno scenario ibrido stile Crimea

È bene ricordare come Mosca abbia più volte accusato Oslo di utilizzare SvalSat per scopi militari in violazione al trattato del 1920: accusa sempre respinta dal governo norvegese, ma che al di là dei pretesti, suona (o dovrebbe suonare) come campanello d'allarme.




Panoramica del Platåberget, l'altopiano sovrastante l'aeroporto di Longyearbyen, sede di SvalSat. Si noti il centinaio di radome bianchi, ciascuno contenente un'antenna collegata ad uno o più satelliti. La concessione rilasciata a KSAT, proibisce espressamente la connessione con satelliti militari.




IV. Conclusioni

Se oggi come allora vi fosse la certezza dell'automatismo dell'Articolo 5 NATO e relativo coinvolgimento degli USA nella risposta, tutto quanto scritto finora rappresenterebbe niente altro che uno scenario teorico del tutto improbabile. Con una NATO militarmente compatta e politicamente coesa non esisterebbe infatti alcuna possibilità per un simile azzardo da parte di Mosca né vi sarebbe lo spazio politico per ipotizzare una disgregazione dell'Alleanza Atlantica e tantomenor una sola probabilità militare che un azzardo del genere da parte russa non venisse duramente respinto e punito.

Purtroppo però i tempi di oggi non sono i tempi di ieri e non vi è quindi alcuna certezza di una univoca e massiccia risposta della NATO ad una aggressione di questo genere volutamente limitata nel tempo e negli spazi proprio per testarne la solidità e quindi approfittare di eventuali defaillance politiche.

Una probabile più ancora che possibile inazione di una parte dell'Alleanza ad un azzardo russo sulle Svalbard equivarrebbe ad una dichiarazione di impotenza, con conseguenze politiche catastrofiche e verosimile fine della NATO così come l'abbiamo conosciuta finora. Ragione per la quale occorre fin da subito rispondere ad una minaccia di questo tipo sulla base del nuovo concetto NATO di deterrence by denial, ovvero la prospettiva di rendere non-conveniente al nemico qualsiasi opzione aggressiva: che nel caso della Russia significa azzerare o quasi la correlazione delle forze

Per ottenere questo risultato è quindi necessario annullare le vulnerabilità del settore Svalbard creando solide capacità dissuasive e di reazione nonché dimostrando la volontà politica di frapporle ad ogni eventuale minaccia da parte di Mosca.

Negli ultimi tempi in effetti qualcosa si è mosso. Il governo norvegese, ad esempio, ha deciso l'ammodernamento della piccola stazione militare di Jan Mayen ed ha dato luce verde alla riapertura di due basi militari della Guerra Fredda: quella aerea di Bardufoss, dotata di hangar in caverna e quella di Olavsvern scavata nella roccia di un fiordo presso Tromsø. È inoltre in attivazione, vicino a Bodø il nuovo NATO CAOC, vale a dire un comando aeronautico in grado di coordinare le attività aeree alleate sopra l'intera penisola scandinava, mentre dal 2029 è previsto l'ingresso in servizio nella marina norvegese, di tutto sei nuovi performanti sottomarini lanciamissili Type 212CD, in grado di ingaggiare bersagli terrestri e navali.


A parere di chi scrive occorre tuttavia fare di più. Ad esempio attivare un battaglione NATO di risposta rapida (NORDBAT) da dispiegarsi permanentemente nella Norvegia settentrionale, mobilitabile con brevissimo preavviso: in altre parole qualcosa di simile ai NATO EFP presenti nel Baltico ed a breve anche in Finlandia, ma con specializzazione artica. Eventualmente, qualora fosse ritenuto politicamente preferibile, il NORDBAT potrebbe essere formato interamente da reparti dei quattro paesi scandinavi come parte di una NATO Nordic Brigade da dispiegarsi a nord del Circolo Polare Artico, con basi nel Finnmark norvegese e nella Lapponia finno-svedese. Il NORDBAT dovrebbe essere rapidamente proiettabile su allarme con mezzi aerei e navali ed essere in grado di operare in condimeteo estreme. 

Andrebbe altresì resa permanente la presenza di una sezione di aerei Awacs E3-A nella base norvegese di Ørland, attualmente limitata unicamente ad una saltuaria FOL (Forward Operating Location), in modo da garantire una copertura 24/7, utile anche a trasmettere a Mosca un segnale dissuasivo importante. La sezione andrebbe connessa al radar OHT di Vardø, alle basi degli F-35, ai comandi aerei svedese e finlandese oltre ovviamente al nuovo NATO CAOC (Combined Air Operation Centre) di Bodø, la cui entrata in operatività è prevista entro la fine del 2025

Un gruppo elicotteri dovrebbe essere tenuto a disposizione del NORDBAT su allarme ed allo scopo sarebbero idonei i Seahawk recentemente acquistati dalla Norvegia e potenzialmente utilizzabili sia in ruoli ASW che ASUW.

Andrebbe poi attivata una componente navale composita, specificatamente orientata all'estremo nord, magari come distaccamento artico permanente dello Standing NATO Response Force Maritime Group 1 (SNMG1), il cui nucleo potrebbe essere rappresentato da un paio di fregate a rotazione (una britannica ed una tedesca) e dai tre nuovi pattugliatori classe Jan Mayen della Guardia Costiera norvegese: battelli di dimensioni paragonabili ad una fregata, ma che andrebbero dotati di armamento missilistico A/A ed anti-nave. Quale base potrebbe essere scelta quella di Ramsund, oltretutto assai vicina all'aeroporto militare di Evenes, sede distaccata degli F-35. Il gruppo navale dovrebbe disporre di capacità di trasporto anfibio pari ad almeno una compagnia artica rinforzata. Tale capacità, che attualmente è inesaudibile, potrebbe essere espressa distaccando a rotazione, presso il gruppo navale, una delle sei LSM polacche classe Lublin.

Tutte queste forze dovrebbero svolgere esercitazioni regolari nel grande nord, comprese operazioni di sbarco costiero, aviosbarco, guerra artica e crociere di pattugliamento fino alle Svalbard e nel mare di Barents, sotto la scorta di pattugliatori aerei navali ed elicotteri antisom. Il tutto a dimostrare in primis una credibile deterrenza e nel caso questa fallisse, anche una solida capacità di risposta: che poi è l'unico linguaggio che Mosca comprende.


domenica 17 agosto 2025

Sulle cause della guerra in Ucraina. Riflessioni


Pezzo originariamente pubblicato nel dicembre 2024 sul blog inOltre


Ci avviciniamo rapidamente alla conclusione del terzo anno di guerra in Ucraina: iniziata, secondo le aspettative di Mosca, come operazione militare speciale da concludersi vittoriosamente in pochi giorni e rivelatasi, secondo la dura realtà dei fatti, una guerra d’usura la cui conclusione appare molto lontana e tutt’altro che scontata.


Le conseguenze rimangono quindi imprevedibili e ad ampio raggio, anche se molte si sono già palesate. In compenso piuttosto definite appaiono le cause e di queste parleremo nelle prossime righe, con l’obiettivo di sfatare alcuni falsi miti propalati dalla propaganda putinista.

Daily Mail del 25/2/22. Secondo i piani di Putin, Kyiv era previsto cadesse in pochi giorni




1. L’imperialismo di Mosca

Sebbene gli autocrati del Cremlino non abbiano mai gradito questa definizione, la Russia è un impero coloniale; anzi è l’ultimo degli imperi coloniali, del tutto paragonabile a quelli europei tranne che per le modalità di espansione: oltremare per i primi, continentale per la Russia, geograficamente lontana dai mari caldi e quindi costretta a seguire linee di espansione terrestri verso l’est (la Siberia), il sud-est (le steppe centroasiatiche) ed il sud (Caucaso): il tutto attraverso un processo di colonizzazione interna violenta, non dissimile dalla molto più vituperata “conquista del West” americana. 


Tutto questo movimento ad oriente non valse però a cancellare le ambizioni del Cremlino verso i mari caldi, che in più occasioni cercò di raggiungere durante i secoli XIX° e XX°, avvicinandosi al Mediterraneo ed all’Oceano Indiano solo in epoca tardo-sovietica attraverso una cintura di stati-vassalli (Patto di Varsavia e Afghanistan).


L’espansionismo è quindi intrinseco alla natura imperialista dello stato russo (che Massimo Cacciari definisce “imperialista nel DNA”), indipendentemente dalla colorazione politica del regime che lo domina, tanto che fu lo stesso Lenin ad un certo punto, a definire la Russia una “prigione dei popoli” senza però riuscire a correggerne la rotta ma trasformandola in quella prigione delle idee portata poi da Stalin al suo apogeo.


Da tutto questo ne deriva che la rinuncia definitiva all’Ucraina, ovvero al più importante tra i territori soggiogati – che per tutta l’epoca zarista era stata chiamata Piccola Russia (Malorossiya) a ribadirne la subordinazione alla Grande Russia moscoviana (Velikorossiya) – avrebbe significato per il Cremlino la presa d’atto del fine-impero: evento inaccettabile e millenaristico, paventato dal dopo 1991 e che la Russia ha cercato di scongiurare sia attraverso raffazzonate e rissose architetture geopolitiche come la CSI ed i suoi derivati (UEE e CSTO), sia con avventure militari volte a recuperare territori perduti, di cui l’invasione dell’Ucraina è solo l’ultimo esempio.


Col senno di poi sono significative le parole pronunciate il 24 dicembre 2021 da Putin, che riassunse i fatti del 1991 come una “disintegrazione della russia storica sotto il nome di Unione Sovietica”, vale a dire non già la fine di un sistema al cui interno vi era anche la Russia, bensì il crollo della Russia storica nella sua declinazione di URSS. Parole che riecheggiavano quelle scritte poche settimane prima, in luglio, in cui sostanzialmente sosteneva, tra speciosità, omissioni e forzature, che tutto ciò che era stato dell’Impero russo avrebbe dovuto essere restituito alla Russia. Quindi anche Ucraina, Finlandia, Polonia per non parlare degli stati baltici.

In entrambi i casi l’imperialismo in essenza.

Stendardo imperiale zarista, attualmente tra gli emblemi dell’estrema destra russa


2. Missione sacra

Mentre l’imperialismo rientra nella storia geopolitica dell’impero russo, la “missione sacra” è invece qualcosa di attinente alla sfera metafisica del medesimo: si tratta in pratica dell’autoproclamato ruolo di Terza Roma assunto nel 1453, dopo la caduta di Bisanzio, da Ivan III zar di Mosca; in altre parole la rivendicazione escatologica del ruolo della Russia di “ultimo baluardo” della Cristianità ed in particolare dell’Ortodossia contro gli infedeli e per estensione l’Anticristo.


Nel concetto di Terza Roma si sublima la millenaristica lotta tra Bene e Male, inizialmente interpretata in senso religioso con la Russia nelle vesti di Katechon ovvero di entità destinata a salvare il mondo dal Maligno, ma con il progredire dei secoli rielaborata in termini geopolitici da letterati e scuole di pensiero per giustificare l’espansionismo zarista sugli infedeli.


Uno dei teorici di questa politicizzazione nella seconda metà dell’800 è stato il filosofo Konstantin Leontjev non a caso considerato uno dei riferimenti ideologici di Putin assieme ad Ivan Iljn, Lev Gumilev e Nikolaj Berdjaev.


Per Leontjev una delle eredità trasmesse da Bisanzio a Mosca risiedeva nel principio di autocrazia, ovvero di sacralità dello zar e si univa all’Ortodossia nella cosiddetta symphonia bizantina dei poteri, vale a dire l’armonia tra Stato e Chiesa che con la Nazionalità formavano la Triade di Uvarov ovvero il modello ultraconservatore posto a difesa della stabilità politica, dell’ordine sociale e religioso e dell’identità ancestrale: il tutto a comporre una Trinità terrena formata dall’imperatore rappresentante di Dio sulla terra, dal Patriarcato che ne è lo strumento e dalla nazione russa incaricata della sacra missione. 


Tradire l’eredità di Bisanzio avrebbe significato, per Leontjev aprire la strada alla caduta della Russia.


Da questi presupposti deriva la scelta di Putin (per convenienza o per fede, non è dato sapere) di stipulare un’alleanza tra regime e Patriarcato con la relativa sovrastruttura ideologica di una Santa Russia Katechon in lotta esistenziale contro l’Anticristo ed i suoi strumenti terreni (liberalismo, democrazia, modernismo ecc.) incarnati dall’Occidente corrotto e decadente.

Konstantin Leontjev, 1831-1891



3. Il “contagio democratico”

L’insinuarsi dall’esterno di principi democratici che possano mettere a rischio la monoliticità del proprio regime è il timore principale di ogni autocrate, Putin incluso, il quale più volte ha dimostrato la propria intolleranza verso le liberaldemocrazie occidentali, preferendo relazionarsi con altri sistemi autoritari piuttosto che aprirsi con fiducia all’Occidente accettando le regole del confronto democratico. 


Per tale motivo la sola ipotesi che l’Ucraina post-Maidan, svincolatasi dalla tutela di Mosca potesse diventare un paese pienamente democratico col rischio che il “contagio della Democrazia” si espandesse anche alla Russia, deve essergli apparso intollerabile: non perché avrebbe significato la fine della Russia in quanto tale, bensì perché avrebbe mandato in crisi il suo regime, costringendolo a farsi da parte.


Ricordiamo come nel 2020 Putin, al potere già da 20 anni, avesse imposto e vinto un referendum costituzionale che gli consentirà di rimanere sul trono fino al 2036.


In questo scenario una Ucraina libera e democratica e magari di successo per la sua vicinanza all’Occidente avrebbe potuto essere un “pessimo” esempio per le plebi russe asservite al regime.


Di questa ossessione abbiamo testimonianze relativamente alla fortissima impressione che Putin avrebbe subito assistendo al video del linciaggio di Gheddafi da parte della folla inferocita. Da qui la sua ostilità verso le cosiddette “primavere” nazionali ed il terrore che queste potessero estendersi anche alla Russia, con relativo incubo di fare la fine del raìs libico. 


Piazza Maidan sarebbe stata quindi percepita da Putin, in una spettacolare inversione del nesso di causalità, come la prova generale di una primavera moscovita, da doversi stroncare preventivamente non già migliorando le condizioni del popolo russo (e quindi facendo venire meno le ragioni di una possibile protesta) bensì cauterizzando la ferita ucraina per prevenire il contagio democratico.

Euromaidan 2014. Secondo la narrativa putinista si sarebbe trattato di un golpe, ma nessuna prova ha mai confermato questa tesi



4. Sindrome d’accerchiamento

Oltre alla paranoia verso i nemici interni, da ex-KGB Putin ha probabilmente introiettato un’altra caratteristica tipica del regime sovietico, vale a dire la percezione di accerchiamento verso quelli esterni.


Storicamente risalente agli anni della guerra civile ed a quei tempi per certi versi giustificata, la sindrome di accerchiamento ha preso a pretesto in Putin la scelta dei paesi est-europei, nella loro libertà di stati sovrani, di aderire progressivamente alla NATO. 


Ribadita per l’ennesima volta l’inesistenza di un trattato di non-allargamento della NATO ad est come meglio spiegato in questo pezzo e quindi la speciosità della propaganda putinista, rimane la fallacia argomentativa di un “accerchiamento” asseritamente subìto da uno stato-continente come la Russia, esteso su 9 fusi orari e con 58.000 km di confini terrestri e marittimi, di cui solo 2.600 effettivamente fronteggiati dalla NATO.


In tal senso parlare di accerchiamento appare un assurdo geografico e geopolitico: è semmai la Russia infatti, con la sua stessa mole a confliggere con tutti i suoi vicini come un elefante in una cristalleria.


Del tutto fallace è poi il paragone con la Crisi di Cuba: l’URSS a Cuba i missili nucleari li aveva piazzati sul serio, mentre le armi atomiche in dotazione alla NATO non si sono spostate di un passo rispetto al 1989, né vi sono tutt’ora missili occidentali nei paesi dell’est in grado di colpire la Russia. Al contrario è Mosca ad aver reso operativi a Kaliningrad missili capaci di nuclearizzare diverse capitali europee.


Si aggiunga poi che 8.700 km di confine russo sono fronteggiati da paesi non ostili come Cina, Mongolia e Corea del Nord e che alltri 6.900 km sono in comune con il Kazakistan che fa parte del trattato CSTO di mutua sicurezza con Mosca 


Sotto ogni punto di vista quindi, l’accerchiamento della Russia risiede unicamente nel pensiero paranoide di Putin.

Per debunkare la narrativa putinista basta una cartina. Ecco come la NATO “accerchia” la Russia: in arancione il confine in comune con i due blocchi.



5.Revanscismo

“La caduta dell’Unione Sovietica è stata la più grave catastrofe geopolitica del XX secolo”. Parole e musica di Vladimir Putin (2005), quelle cioè di un piccolo funzionario nostalgico, ma di una nostalgia condivisa (2), per un regime che gli aveva consentito di passare da adolescente inquieto di borgata ad ufficiale paranoico del KGB di stanza in Germania Orientale, ovvero la destinazione più ambita tra gli apparatchiki di belle speranze.


Stando a quanto da lui stesso raccontato, fu a Dresda, nel dicembre 1989, che il giovane tenente colonnello Putin avrebbe maturato la repulsione per il caos ed i disordini di piazza, assistendo da una finestra del proprio ufficio, dopo aver richiesto inutilmente l’intervento armato della vicina guarnigione sovietica di Potsdam, al tumulto di una folla di tedeschi che nei giorni del crollo della DDR minacciava di prendere d’assalto il detestato palazzo del KGB.


Questo trauma, poi rivissuto con la fine di Gheddafi, lo avrebbe segnato per sempre.


“Se non fosse successo così in fretta…” disse una volta riferendosi alla ritirata delle truppe sovietiche dall’Europa Orientale, che lo vide rientrare malinconicamente a San Pietroburgo riducendosi a fare il tassista per integrare il suo magro stipendio da ufficiale. 


Ecco dunque la frustrazione personale saldarsi alla rabbia impotente per il destino del paese: un cupo miscuglio che fece nascere in lui un profondo senso di rivalsa e revanscismo verso quelle forze liberaldemocratiche che avevano contribuito a provocare la fine dell’URSS ed il crollo del suo piccolo e grigio mondo da burocrate delle Vite degli altri. (3)


Le radici della feroce acrimonia di Putin verso l’Occidente sono dunque interrate all’interno della stessa storia personale di Putin; tutto il resto (avanzata della NATO ad est, rivoluzioni colorate, Euromaidan, neonazismo in Ucraina, indipendentismo nel Donbas, russofobia…) sono semplici additivi, fertilizzanti, bias confermativi di una rabbia preesistente ma molto ben dissimulata secondo la più classica maskirovka russa.

Un giovane Putin in divisa da capitano del KGB. Il suo servizio a Dresda fu alla base di alcune delle sue attuali ossessioni




6. Russkiy Mir

L’ennesimo rammarico di Putin: la caduta dell’URSS “fece dei russi il più grande gruppo etnico del mondo ad essere diviso da confini di Stato”. 


In questa frase è condensato il senso del Russkiy Mir: ovvero la Weltanschauung ideologica di un suprematista ruscista ossessionato dall’idea di riunificare tutti i russi sotto un’unica bandiera, come già un certo Hitler prima di lui con la definizione di Volksdeutschen e l’idea del Lebensraum. 


E non a caso tra Russkiy Mir e Lebensraum le affinità sono evidenti, come meglio specificato in un mio pezzo precedente.


Ovviamente il progetto di riunificazione delle genti cosiddette russe sotto la bandiera di Mosca non tiene in alcun conto né della volontà delle medesime né della effettiva russicità delle stesse, considerandovi compresi arbitrariamente in esse anche gli ucraini, cui Putin non riconosce dignità di etnia né diritto di nazione: in altre parole la negazione di una identità ucraina separata da quella russa, come proclamato ripetutamente nel suo scritto breve del 12/721 “On the Historical Unity of Russians and Ukrainians”, poi in parte ripreso il 21/2/22 durante il video discorso alla nazione con cui annunciava l’inizio dell’invasione, definita operazione militare speciale. (3)


Dunque il Russkiy Mir come prodotto finale dell’ideologia ruscista adottata da Putin e sintetizzabile nel sopra riportato enunciato ideologico: “tutto ciò che era Russia [storica] deve tornare alla Russia”.




Queste dunque le principali cause ideologiche dell’invasione russa dell’Ucraina: non le fragili sovrastrutture di un regime estemporaneo emanazione di sé stesso, come è stato in parte per la Germania hitleriana, creatrice di una propria stessa mitopoiesi ed alla ricerca affannosa di una sua legittimazione storica attraverso le rabberciate scenografie ideologiche himmleriane, bensì i complessi e molto radicati paradigmi di una Russia eterna, sfortunatamente sempre uguale a sé stessa. 


Hitler non è stato la Germania ma una grottesca degenerazione della Germania ed il Reich millenario non equivaleva a ciò che la Germania era stata nei secoli passati ma ciò che avrebbe dovuto essere nei secoli futuri.


Putin rappresenta invece profondamente la Russia per ciò che è stata da Ivan IV a Stalin ed il suo regime non nasce da una combinazione estemporanea di fattori storici, bensì ne è la moderna evoluzione. Moderna solo in quanto riferita all’oggi, ma con lo sguardo perennemente rivolto ad un truce passato che non passa.



(1) Secondo un sondaggio Levada del 2021, ben il 76% degli intervistati ha attribuito all’URSS caratteristiche positive, il 67% ne ha deprecato il crollo ed il 66% ne rimpiange il socialismo 

(2) A Dresda Putin aveva il compito di spiare i dissidenti e monitorare i suoi stessi colleghi. Lui stesso si definì “specialista in relazioni umane”. In pratica una specie di Gerd Wiesler, ma decisamente più anafettivo del protagonista del film Le vite degli altri.

(3) Vladimir Putin: “On the Historical Unity of Russians and Ukrainians”. President of Russia en.kremlin.ru/events/president/news/66181, 12 luglio 2021.

sabato 16 agosto 2025

Umiliato e (speriamo) forse offeso. Trump esce male dal summit di Anchorage



Un aspetto positivo della farsa d'Alaska è che Trump non potrà incolpare Zelensky del suo fallimento, che era uno dei rischi di questo carrozzone, su cui molti putinisti speravano: il famoso "deal" tra due partners affini a cui il "ribelle" Zelensky si sarebbe opposto costringendo Trump a scaricarlo definitivamente. Ovvero il sogno bagnato del Cremlino: vincere la guerra con il salto del cavallo senza averla vinta sul campo, ma rendendo ininfluente Zelensky e di conseguenza l'ostinata Resistenza ucraina.


Invece Putin ha scelto di umiliare Trump: il che da un lato non è una cosa negativa visto l'ego di Trump, che ferito nell'orgoglio di non aver ottenuto nulla pur essendosi prostrato, potrebbe (forse) ora avere un sussulto uguale e contrario.


Ma c'è di più. Anziché l'astuzia strategica, ovvero cedere qualcosa per arrivare al deal stringendo Zelensky in una morsa assieme a Trump, Putin sembra avere scelto la linea ideologica pura (forse convinto di potere vincere sul campo). Il che potrebbe mettere fuori gioco negli USA la parte più dialogante e mercantile dell'amministrazione Trump: quella che credeva possibile un accordo col tiranno russo, basato su presupposti politico-economico-strategici ai danni dell'Europa, dell'Ucraina, possibilmente della Cina.


È possibile, adesso, che al Senato e nella stessa amministrazione l'umiliazione convinca qualcuno del fatto che un deal di quel genere sia impossibile e che occorra invece un approccio più duro per indurre Putin ad ammorbidirsi.


Può essere che l'intransigenza di Putin, ideologica e quindi miope, abbia l'effetto di riaccendere l'orgoglio imperiale USA umiliato da un piccolo mugiko e porti l'amministrazione Trump a riavvicinarsi ai vecchi alleati europei ed alla NATO.

Può essere. Non è detto che sarà.

Di certo l'umiliazione per Trump è stata dura e qualche conseguenza la avrà. Nel frattempo la posizione di Zelensky ne esce rafforzata e l'Europa può ancora contare qualcosa.


Putin ha scelto l'intransigenza ideologica, barattando i vantaggi politici a medio termine di un deal in cambio di qualche vantaggio immediato di immagine (tentazione irresistibile, fare vedere al mondo di essere in grado di appoggiarlo in testa a Trump in casa di Trump). Quindi per certi versi ha semplificato le cose.

Di certo, la sua scelta di pancia ha spazzato via molte carabattole del "dialogo ad ogni costo" ed ha dimostrato quanto possa essere pericoloso e quanto, contro di lui, possa funzionare solo la linea dura.


mercoledì 13 agosto 2025

Conoscere il nemico come e meglio di sé stessi

 

"Se conosci il nemico e conosci te stesso, non avrai bisogno di temere il risultato di cento battaglie"

Sun Tzu




Stiamo passando dall'epoca della deterrenza (quella cioè che ha governato il confronto Est-Ovest durante la Guerra Fredda ed oltre) all'epoca della convenienza: laddove si intende la convenienza di Mosca nel fare o non fare qualcosa sulla base dei propri ritorni e non del timore di subire una rappresaglia come invece ai tempi della Guerra Fredda.

È una differenza sottile ma essenziale.

Nel primo caso Mosca NON faceva perché aveva di fronte la certezza di una risposta univoca, automatica e devastante.

Adesso Mosca farà o non farà per semplice calcolo delle convenienze in base al principio di "correlazione delle forze": una semplice somma algebrica che dà già per scontata l'assenza di un automatismo di risposta univoca e quindi devastante.

In sostanza non sarà l'Occidente a condurre il gioco per mezzo della deterrenza, bensì Mosca a scegliere i tempi e i luoghi, il come ed il quando, in base alle proprie convenienze.


Non è un principio nuovo. Però nel passato era pesantemente condizionato dalla deterrenza e dalla consapevolezza, da parte di Mosca, di non poter varcare certe soglie. La crisi dei missili di Cuba (che tanti citano a sproposito nel tentativo di giustificare l'aggressione del dittatore russo) ne è un esempio plastico.

Adesso deterrenza e soglie sono evaporate o quasi ed è venuta quindi a mancare quell'autolimitazione che il Cremlino si imponeva giocoforza, ai tempi della Guerra Fredda. Adesso è sfida pura, azzardo calcolato sul rischio: ed è quindi tutto molto meno governabile, tutto molto più pericoloso.


Quale soluzione abbiamo?

Come Occidente dobbiamo fare in modo che i fattori negativi nella somma algebrica di Mosca siano superiori a quelli positivi rendendo quindi sconveniente a Mosca l'azzardo. Ovvero mandando a zero il risultato della correlazione delle forze.

A quel punto saremo ragionevolmente certi che il Cremlino sceglierà di non muoversi dopo aver valutato la non-convenienza nel farlo.


Come identificare i fattori negativi?

Cominciando a ragionare con la mentalità russa e derivando da questa una serie di possibili scenari. Loro ci studiano da decenni ritorcendo a nostro danno la nostra mentalità.

È tempo di cominciare a fare la stessa cosa con loro.


lunedì 11 agosto 2025

L'Intelligence della NATO (2): chimera o fenice?

 


 PARTE SECONDA

Link alla Parte Prima


Nella prima parte di questo pezzo abbiamo parlato di quei reparti ed enti preposti all'intelligence integrati nel SACEUR e nella fattispecie, dell'area funzionale Strategic Employment.

In questa seconda parte tratteremo invece di due importanti assetti nell'area della ricognizione strategica, ossia i droni di Sigonella e gli Awacs di Ramstein, ambedue subordinati al comando aeronautico NATO, vale a dire l'AIRCOM. Come è facile intuire, non si tratta di reparti di intelligence in senso stretto, bensì di assetti aeronautici facenti lavoro di intelligence e più specificatamente raccolta di informazioni strategiche, che corrisponde alla seconda fase del ciclo di intelligence .

Nota: la numerazione dei paragrafi continua dalla Prima Parte.


6. NATO Intelligence, Surveillance, Reconnaissance Force (NISRF)

Sebbene le origini di un programma NATO di sorveglianza integrata a lungo raggio risalgano ai primi anni '90, tra fallimenti, rilanci e sospensioni, l'avvio dell'attuale sistema NIRFS va fatto risalire al 2007, quando in sede NATO furono finalmente definiti i requisiti e delineata l'architettura del programma, basato su un segmento terrestre comprendente diverse stazioni fisse e mobili per la ricezione, interconnessione e gestione dei dati, nonché su un segmento aereo, la cui componente di volo sarebbe stata articolata sui grandi UAV strategici Global Hawk, capaci di una autonomia di 36h ed una superficie monitorata di 100.000kmq al giorno. Nel 2009 dalla fase si definizione generale si passa ai MOU, con cui vengono definiti i dettagli del progetto ed individuate le parti contrattuali tra l'elemento industriale e la NATO rappresentata da una apposita agenzia NAGSMA (NATO Alliance Ground Surveillance Management Agency), incaricata della gestione del progetto, in quella fase denominato AGS o Alliance Ground Surveillance o NAGSF. Il definitivo passaggio alla fase contrattuale avviene dopo il summit NATO di Lisbona del 2010 cui fece seguito (2012) la decisione di finanziare una parte importante del progetto mediante i fondi comuni NATO anziché con singoli contributi nazionali: scelta che permise una velocizzazione dell'iter con firma nel 2012 del contratto tra NAGSMA ed il team industriale guidato da Northrop-Grumman (con partecipazione anche di Leonardo SpA). Il contratto definiva l'acquisizione dei Global Hawk da parte dei 15 paesi NATO partecipanti a NAGSMA e lo scheduling delle consegne dei 5 velivoli RQ-4D Phoenix che avrebbero costituito la flotta AGS. Oltre a partecipare con Leonardo, l'Italia venne scelta come paese hosting del comando e della flotta di UAV, per i quali verrà messa a disposizione la base aerea di Sigonella.

Nel settembre 2015 viene costituita la NATO Intelligence, Surveillance and Reconnaissance Force e nel frattempo consegnato a NAGSMA il primo Phoenix, con relative prove di volo ed altri test da effettuarsi negli USA. 

Sotto la gestione della NSPA, NATO Support and Procurement Agency, Via iene quindi avviato l'ampliamento della base di Sigonella con nuovi edifici tra cui un hangar, su un'area di quasi 27 Kmq in grado di accogliere oltre ai Phoenix, anche una forza operativa di circa 800 elementi di vari paesi NATO: tecnici, piloti da remoto, operatori di sistemi, analisti e manutentori per i quali vengono predisposti corsi di istruzione entro il sedime della base, dove stava intanto prendendo forma la struttura della forza, poi configurata su tre elementi operativi:

▪️NISRF Operations Wing, ovvero la componente di volo che rappresenta il fulcro del sistema, responsabile della pianificazione, esecuzione e coordinamento di tutte le missioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione. Le attività dello stormo comprendono il pilotaggio e la navigazione dei droni da remoto, la ricezione e l'elaborazione dei dati raccolti, con conseguente confezionamento di prodotti di intelligence conformati alle esigenze operative e strategiche dell'Alleanza. Attualmente lo stormo è sotto il comando del Colonnello Alexander Heinrich Schneider.

▪️NISRF Support Wing, una componente di supporto logistico e tecnico alla forza di volo, inclusa la manutenzione di velivoli e attrezzature, la gestione delle strutture e la gestione risorse. Lo stormo si compone di tecnici, ingegneri ed esperti di logistica che operano a stretto contatto con l'Operations Wing per recepirne le necessità e garantire il rispetto dei requisiti previsti. Attualmente lo stormo di supporto è sotto il comando del Colonnello Juan Carlos Dominguez Dorado.

▪️NISRF Training Center, ovvero la componente addestrativa del sistema che offre corsi e programmi di formazione per tutti i settori professionali del personale assegnato alla Forza, inclusi analisti ISR, piloti, operatori di sensori e manutentori, sulla base di standard costantemente aggiornati che consentono la formazione di 80 operatori all'anno. Attualmente il centro addestrativi è agli ordini del Colonnello Matteo Molari, che ricopre anche la funzione di vice-comandante del NISRF. 

Un Phoenix della NATO in volo. Si tratta di una macchina possente, con una apertura alare di quasi 40m, una lunghezza di 14,5m ed una autonomia di oltre 16.000 km.


Nel novembre 2019, dopo quattro anni di test di volo negli USA il primo Phoenix raggiunse il NIRFS di Sigonella, seguito a breve dal secondo e dagli altri tre e dalla sistemistica entro il 2020, con conseguimento della IOC (Initial Operational Capability) nel febbraio 2021.

Nel settembre 2023, la NATO AGS è stata ribattezzata NATO NIRSF, confermando l'ampliamento delle missioni dell'Alleanza secondo la più moderna filosofia ISR integrata.

Tale approccio, olistico ed allargato a tutti i cinque domini operativi è stato confermato nel Luglio 2024, con la decisione di integrare in NIRFS i più innovativi programmi di sorveglianza ed intelligence quali ad esempio Alliance Future Surveillance and Control (AFSC) che punta ad integrare entro il 2035 in un sistema unico Awacs, droni, AI e Big Data, oppure la Vision Digital Ocean, che consentirà una totale conoscenza del dominio navale in tempo reale e la sua completa integrazione con tutte le altre piattaforme di rilevamento (satelliti, sensori, mezzi navali, mezzi aerei pilotati e no ecc.), oppure ancora la Alliance Persistent Surveillance from Space (APSS) che punta ad integrare tra loro la costellazione di satelliti militari e commerciali dei paesi dell'Alleanza in modo da ottenere una copertura unica del dominio spaziale a sua volta interconnesso agli altri domini.

Attualmente (dal giugno 2025) il NISRF risponde agli ordini del generale USA John Creel che dal suo comando di Sigonella si rapporta ai suoi superiori a Ramstein presso AIRCOM che rappresenta il centro focale del potere aereo NATO in Europa e dove è dislocato un nucleo di collegamento di NISRF. 

Da Ramstein vengono infatti pianificate e gestite le missioni di Air Policing, di difesa strategica ABM e di ricognizione AEW oltre a coordinare i due centri operativi responsabili della conduzione delle operazioni aeronautiche NATO in tempo di pace e di guerra: quello di Uedem in Germania, con giurisdizione sul nord-Europa fino alla linea delle Alpi e quello di Torrejòn in Spagna che copre invece il sud-Europa e Mediterraneo. 

Per quanto riguarda NISRF, sebbene il suo baricentro fino ad ora abbia gravato sull'area sud-orientale con focus su Mediterraneo e Mar Nero, la notevole autonomia dei Phoenix consente l'esecuzione di missioni anche nell'Europa settentrionale, Baltico e Mare del Nord: nel settembre 2O23 infatti, NISRF ha preso parte alla sua prima esercitazione nella regione baltica monitorando il confine russo-finlandese, poi seguita dal marzo al maggio 2024 dalla partecipazione alle manovre Nordic Response e Steadfast Defender che complessivamente hanno coinvolto oltre 100.000 uomini in Svezia, Norvegia e Finlandia ed area del Baltico. In questo quadro, NISRF  è stata in grado di fornire ben il 25% dei dati elaborati nel corso delle esercitazioni.

La regione settentrionale rimane nel focus di NISRF anche dopo la conclusione di Steadfast Defender. Nel luglio 2025 infatti, per la prima volta un Phoenix decollato da una base in Finlandia raggiunge l'area del cosiddetto GIUK, vale a dire quel tratto di Nord-Atlantico che separa Groenlandia, Islanda e UK e che durante la Guerra Fredda era considerato dalla NATO il limite meridionale oceanico inviolabile dai sottomarini sovietici.

Questa missione NISRF in Nord Atlantico oltre che operativamente rilevante è anche simbolicamente significativa, perché segnala a Mosca l'attenzione della NATO per il profondo nord nonché un monito che gli avventuristi del Cremlino, memori del significato del GIUK, non possono non avere recepito.

Relativamente al settore mediterraneo, NISRF partecipa all'operazione NATO Sea Guardian ed alle correlate missioni Focused Patrol, che la mettono in relazione ad altri assetti ISR, quali sottomarini, aerei da pattugliamento navale P-8A Poseidon ed Awacs E-3A: il tutto a tracciare un quadro in tempo reale della situazione aeromarittima dell'area pattugliata.

Recentemente, verso metà  giugno 2025, uno dei Phoenix decollato da Sigonella avrebbe avuto problemi sopra il Mar Nero non lontano dallo spazio aereo russo. In particolare il velivolo avrebbe perso per alcuni istanti il contatto con la base lanciando un segnale di soccorso "Squawk 7600" ed aprendo l'ipotesi ad un caso di jamming da parte russa. Non vi sono conferme ufficiali su questo incidente, che ricade entro un'area ad alto rischio di contatti ostili ma anche ad alta necessità di monitoraggio: non a caso, da dopo l'invasione russa dell'Ucraina, le missioni NISRF sopra il Mar Nero si sarebbero fatte molto frequenti ed avrebbero generato, dall'ottobre 2021, almeno un migliaio di prodotti di intelligence, più o meno equivalenti ad altrettante missioni.

Ovviamente, la disseminazione dei dati raccolti da NISRF non si limita ad AIRCOM ma si estende al SACEUR, dove è presente un distaccamento di NISRF, nonché a tutti i 32 alleati NATO, secondo un principio di rigorosa condivisione. In tal senso NISRF è uno dei nodi principali del programma NATO Joint Intelligence, Surveillance and Reconnaissancene (JISR): deriva una stretta connessione con la NCIA di cui abbiamo parlato qui, anch'essa parte del sistema JISR

Da sottolineare infine, come Sigonella sia la base del 319th Operations Group, basato sui droni RQ-4 Global Hawk, molto simili ai Phoenix: cosa che consente una buona sinergia con il NISRF in termini di manutenzione, ricambistica, logistica e sostegno.

Organigramma del NATO AEW&ACF. In verde le aree operative di volo; in beige la posizione del reparto in ambito SHAPE/Aircom


7. NATO Airborne Early Warning & Control Force (NAEW&CF)

Sono la parte più mediaticamente nota del sistema di allerta precoce e sorveglianza della NATO: parliamo dei grandi aerei Boeing 707 Sentry modificati per fungere da piattaforma radar volante, caratterizzati dal grande radome circolare applicato sul dorso della fusoliera. Una flotta di aerei-picchetto che ritroviamo immancabilmente in ogni scenario di crisi intenti a svolgere la loro missione: vale a dire monitorare lo spazio circostante da un'altezza di 10.000 metri rilevando, identificando e tracciando ogni oggetto volante (o navale) in movimento entro un raggio di oltre 500 km, ovvero di 400 km da quote più basse. In sintesi, tre E-3A in volo con orbite circolari sopra la Germania sono in grado di controllare l'intero spazio e dell'Europa centrale..

Il caratteristico radome dorsale, che contiene un radar doppler Westinghouse AN/APY-2 capace di lavorare in diverse modalità (monitoraggio, tracciamento, BTH, passiva, navale), ne ha fatto una sorta di icona, nonché più prosaicamente, un assetto indispensabile in ambito ISR (Informations, Surveillance, Reconnaissance).

Quello che non tutti sanno è che il Sentry è solo l'elemento plasticamente palese di un sistema estremamente complesso ed in continua espansione ed aggiornamento nelle capacità e nelle interazioni con altre reti di monitoraggio (droni, satelliti, sistemi navali e terrestri ecc.); un sistema adottato dalla NATO in quanto tale e perfettamente integrato con sistemi analoghi in dotazione ai singoli paesi dell'Alleanza, definito ufficialmente NATO Airborne Early Warning & Control Force (NAEW&CF).

Come si può desumere dalla definizione ufficiale, gli Awacs non sono solo dei sofisticati velivoli da rilevamento radar, ma possono anche svolgere attraverso i sofisticati sistemi di bordo, anche il ruolo di centri di comando aeromobili, in quanto interconnessi nella rete di comunicazioni NATO dei tre domini classici. La trasmissione dei dati può avvenire in tempo reale in modo da garantire la situational awareness ai decisori politici e militari.

Un po' di Storia. Il NAEW&CF viene costituito nel gennaio 1980 ed è stato allora il più grande programma di acquisizione comune della NATO fino a quel momento, con un totale di ben 17 paesi alleati coinvolti, 15 dei quali impegnati anche a fornire una quota dei 30 equipaggi multinazionali necessari all'operatività dei 17 E-3A Sentry compresi nel programma. In tal senso NAEW&CF detiene il primato di essere stata la prima unità veramente multinazionale ed integrata nella storia della NATO.

In realtà NAEW&CF avrebbe assunto col tempo dimensioni ancora più ampie. La Gran Bretagna infatti scelse di acquisire una propria flotta di AWACS adattati alle specificità del teatro Nord-Atlantico in cui sarebbero stati chiamati ad operare: la RAF pertanto introdusse in servizio 6 Boeing E-3D, manovrati da equipaggi esclusivamente britannici ma completamente integrati nel programma NAEW&CF. In tali termini, la componente multinazionale basata sugli E-3A divenne pienamente operativa alla fine del 1988 mentre quella britannica su E-3D nel luglio 1992.

Strutturalmente, la NAEW&CF ha il proprio comando centrale a Geilenkirchen, in Germania ed attraverso AIRCOM dipende a sua volta dallo SHAPE di Mons, dove è presente un distaccamento del comando incaricato di trasferire a Geilenkirchen gli ordini di missione del SACEUR.

Geilenkirchen controlla le tre componenti del sistema NAEW&CF:

▪️La componente multinazionale sugli E-3A con comando nella stessa Geilenkirchen. Attualmente risponde agli ordini del Generale USAF Kristen Thompson in rotazione periodica con un parigrado tedesco, mentre il vice-comandante è sempre un colonnello dell'Aeronautica olandese, nella fattispecie il Colonnello Henk Kiffen. In termini organizzativi la componente E-A3 è suddivisa in due squadroni operativi ed uno squadrone addestrativo per un totale di circa 1.400 persone e 14 velivoli AWACS. I tre squadroni formano il cosiddetto Operations Wing, che dal luglio 2021 è stato agli ordini del Colonnello AM Maurizio Maggio, solo da pochi giorni avvicendato dal parigrado Antoine Ardore, sempre della AM. Oltre all'Operation Wing vi sono poi il Logistic Wing, che si occupa dell'intero settore logistico dai carburanti avio ai ricambi per il radar ed il Base Support Wing che invece gestisce le infrastrutture fisiche, i servizi e la sicurezza della base 

▪️Il Mission System Engineering Centre (MSEC) ovvero l'elemento di supporto tecnico-ingegneristico con base a Geilenkirchen. Risponde agli ordini di un colonnello e si occupa di produrre software di missione e di fornire servizi di ingegneria per i sensori di bordo e gli apparati a terra. Dispone di uno staff di specialisti civili in grado di garantire la funzionalità dei sistemi.

▪️La componente britannica sugli E-3D con comando a Waddington presso Lincoln, nell'Inghilterra centro-orientale. Nel 2021 la RAF ha deciso la dismissione degli E-3D Sentry e la loro sostituzione con i più prestanti E-7 Wedgetail. Per tale ragione mano a mano che si renderanno disponibili, gli E-7 verranno assegnati alla base scozzese di Lossiemouth, presso Inverness, rimodernata ed abilitata all'operatività dei nuovi aerei nel gennaio 2025. A Lossiemouth gli E-7 opereranno sotto le insegne dello 8th Squadron, ritornato nella base scozzese dopo oltre 30 anni.


Da parte sua la componente E-3A dispone, oltre a quella centrale di Geilenkirchen, di tre basi operative avanzate (FOB): a Konya in Turchia, Aktion-Preveza in Grecia, Trapani-Birgi in Italia oltre ad una FOL (Forward Operating Location) Ørland in Norvegia, le quali non sono basi AWACS permanenti, bensì di schieramento temporaneo per periodi più o meno lunghi oppure come appoggi d'emergenza. 

Birgi ad esempio è sede stanziale del 37° Stormo AM, mentre Decimomannu funge da posta alternativa in caso di impedimenti a Birgi. La parte NATO della base di Birgi è comunque costantemente presidiata da una aliquota AM per garantirne in ogni momento l'operatività  e la prontezza tecnica e logistica nel suo ruolo di FOB affacciata sul Medio Oriente, Africa Settentrionale e Mediterraneo Orientale. Ne è comandante il Tenente Colonnello AM Cristiano Undecimo.

Mentre Birgi svolge il ruolo di FOB da oltre 30 anni Ørland, nella Norvegia centrale, è una FOL di rischieramento più saltuaria per gli E-3A, solitamente in occasione di esercitazioni NATO: come ad esempio nell'aprile 2025 in occasione dell'esercitazione Formidable Shields, che per 20 giorni ha testato le capacità di difesa aerea e missilistica integrata dell'Alleanza sopra il Mare del Nord

Quanto al comando centrale NAEW&CF di  Geilenkirchen, risponde agli ordini di un generale del'USAF in rotazione con un parigrado della Luftwaffe tedesca, mentre il vice è sempre un Air Commodore della RAF britannica. Attualmente le due posizioni sono coperte dal generale tedesco Andreas Korb e dall'Air Commodore Andrew Turk.

La NAEW&CF di Geilenkirchen è costituita da tre stormi: quartier generale (HQ), operazioni e logistica , cui si aggiungono altre funzioni normali di staff, per un totale di 2.900 persone tra militari e civili. Ciascuno di tali stormi è agli ordini di un colonnello di una diversa aeronautica NATO.

Piuttosto complessa appare la configurazione dello stormo HQ, suddiviso in sei divisioni: Finanziaria, Personale, Idoneità al volo, Capacità operative & Comunicazioni (CIS), Ingegneria & Logistica, Requisiti operativi. Ognuna di queste divisioni è a sua volta articolata in diversi uffici, denominati "branches".


Attualmente tre Sentry di Geilenkirchen risultano distaccati presso la base romena di Otopeni, da dove effettuano voli regolari al di sopra del territorio NATO monitorando buona parte dell'Ucraina e del Mar Nero. Il rischieramento degli E-3A è avvenuto a gennaio 2023. Nel settembre 2024 il pattugliamento è stato rafforzato con un dispiegamento della durata di cinque mesi, presso la base greca Aktion di Preveza, regolarmente conclusosi nell'aprile 2025

L'intera flotta di E-3A ha recentemente ricevuto la certificazione di rifornimento in volo da parte dei nuovi aerei rifornitori A330 MRTT attualmente in fase di acquisizione da parte della NATO Support and Procurement Agency (NSPA); sette dei dodici tanker previsti sono stati consegnati ed attualmente sono operativi presso la base aerea olandese di Eindhoven.

 

Così come avvenuto per i Sentry britannici di Waddington anche per quelli di Geilenkirchen è iniziato il conto alla rovescia del fine-servizio. Nel 2020 è stato avviato il Final Lifetime Extension Program, vale a dire un programma di aggiornamento che consentirà agli E-3A di rimanere operativi fino al 2035 con prestazioni migliorate, per poi essere rimpiazzati da un nuovo velivolo: quasi certamente gli E-3D Widgetail per i quali nel 2023 è stato lanciato il programma di acquisizione basato sul piano concettuale iAFSC, ovvero initial Alliance Future Surveillance and Control capability, inteso ad integrare in un sistema unico tutti e cinque i domini operativi: terrestre, navale, aeronautico, spaziale e cyber.


FINE PARTE SECONDA