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domenica 1 giugno 2025

Passaggio a nord. La militarizzazione russa dell’Artico ed il controllo della rotta settentrionale




PARTE PRIMA: IL FRONTE INSULARE


Nota generale
Questo articolo è il primo di una serie di tre, che continuerà con l’esame delle basi e delle risorse russe nella penisola di Kola e che verranno pubblicati su questo blog con il titolo di "Nella tana dell'orso. Le infrastrutture militari russe nella penisola di Kola. Parte prima: le basi navali" e "Parte seconda: le basi aeree".


1. Excursus
Per tutto il corso della Guerra Fredda l’area euroatlantica posta a nord del Circolo Polare Artico ha rivestito una importanza fondamentale nei piani strategici dei due blocchi, ambedue intenzionati a sfruttarla per i propri scopi offensivi e difensivi ed ambedue decisi ad interdirla all’avversario per opposte ragioni.
Basicamente, a ritrovarsi al centro della contesa è stato l’intero settore nord-atlantico ed artico occidentale compreso tra la Groenlandia, il Regno Unito, la Norvegia, la penisola di Kola, il mare di Barents, la Nuova Zemlja e le isole Svalbard.
A contendersi questo enorme porzione di oceano erano da un lato la Flotta sovietica del Nord e dall’altro lato la Seconda Flotta USA supportata dalla Royal Navy.
Negli anni del confronto, grazie anche ad alcune riuscite pellicole come Caccia a Ottobre Rosso e K19 abbiamo imparato a conoscere luoghi che altrimenti sarebbero rimasti perlopiù sconosciuti, come Polyarny, Murmansk e Severomorsk, basi della flotta sovietica del nord, oppure Jan Mayen, centro meteorologico e radiotrasmissioni NATO dotato di una antenna LORAN-C, all’epoca di importanza capitale.
Allo stesso modo, almeno un paio di gravi incidenti ci hanno raccontato dell’importanza vitale di questa immensa area nei piani strategici delle due superpotenze: la caduta del B52 con a bordo quattro ordigni nucleari nei pressi della base radar americana di Thule in Groenlandia (21/1/68) e la più recente fine del sottomarino russo Kursk, colato a picco con tutto il suo equipaggio nel mare di Barents a nord della penisola di Kola (12/8/00).
A proposito del mare di Barents e del contiguo mare di Kara, i loro fondali sono ora pattumiere nucleari disseminate di decine di reattori e di due interi sottomarini (K27 e K159) dismessi per affondamento, nonché di migliaia di contenitori di combustibile nucleare esausto proveniente dai medesimi, scaricati in mare tra gli anni 60 e gli 80: un problema tuttora irrisolto e che non pare essere prioritario per il Cremlino.
Infine la desolata Nuova Zemlja, che è stata per tutto il periodo della Guerra Fredda il test-site di numerosi esperimenti nucleari sovietici, tra cui la ben nota superbomba Tsar da 50Mt (30/10/61).

Climatologicamente gelida, l’area era dunque molto calda in termini di confronto tra i due blocchi:

🔹da un lato infatti, la Flotta sovietica del Nord con il suo imponente dispositivo di naviglio d’attacco pesante e soprattutto di decine sottomarini SSN ed SSBN aveva la necessità di uscire dal collo di bottiglia del mare artico per raggiungere le proprie zone di interdizione navale e di lancio missili SLBN al largo della costa occidentale americana. Per fare ciò doveva entrare in Atlantico superando il cosiddetto GIUK-gap, ovvero la strettoia di mare compresa tra la Groenlandia, l’Islanda e la Scozia (GIUK = Greenland – Iceland – UK), letteralmente disseminata di idrofoni sommersi SOSUS e costantemente monitorata nei cieli dagli Awacs e dai pattugliatori navali NATO, nonché nei mari dai sottomarini hunter-killer della US-Navy. Tutto ciò avvenne negli anni 60 e 70; dopodiché negli 80 l’entrata in servizio delle classi Delta e Thypoon dotate di SLBN a lunga gittata consentì a Mosca di mantenere i propri SSBN nel “santuario” di Barents, senza più necessità di dover raggiungere le proprie zone di lancio al largo delle coste USA: evoluzione che creava un serio problema alla US Navy.


Il GIUK gap. Il forzamento del gap avrebbe consentito alla flotta sovietica di irrompere in Atlantico minacciando i convogli Nordamerica-Europa



🔹Dall’altro lato c’era invece la Seconda Flotta USA, che aveva il compito di proteggere le vitali rotte dei convogli (SLOC) tra Halifax-Norfolk e l’Europa dagli attacchi della Flotta sovietica del nord ed allo stesso tempo interdire con i propri SSN il passaggio del GIUK da parte del naviglio sovietico sottomarino e di superficie in discesa dall’artico. A loro volta gli SSBN americani ed i gruppi portaerei (CVN) dovevano evitare i cacciatori nemici e posizionarsi nelle zone di lancio SLBN a tiro dei propri bersagli nella Russia settentrionale e nella penisola di Kola, considerata una delle are più militarizzate del pianeta. Dopodiché a partire dagli anni 80 la strategia USA si fece più aggressiva, superando il concetto di protezione delle SLOC atlantiche e pianificando azioni combinate di attacco alle basi della Flotta del Nord e di caccia ai sottomarini russi fin dentro i loro “santuari” da parte dei CVN+SSN.

Si trattava insomma di una mortale partita a scacchi in cui ciascuno dei due giocatori puntava a prendere il controllo della parte centrale della scacchiera impedendo all’avversario di fare altrettanto.

Emblema della flotta del Nord



2. Cambio di paradigma

La fine della Guerra Fredda e la scomparsa del blocco sovietico portarono ad una notevole riduzione dell’apparato militare dei due ex-contendenti. Da parte americana venne abbandonata la base islandese di Keflavik (2006) e disciolta la Seconda Flotta (2011), mentre da parte russa vi fu la dismissione di numerose basi nell’artico. Ambedue procedettero poi a sostanziosi tagli nel numero delle unità navali, laddove fu soprattutto la Russia, nella crisi economica degli anni ’90, a dover dismettere importanti assetti di naviglio, comprese decine di sottomarini SSN ed SSBN, solo minimamente compensati dall’ingresso in servizio di un limitato numero di nuove unità.

Nel 2007 comunque Mosca riprese i voli artici di pattugliamento a lungo raggio, superando 18 volte la linea di identificazione del NORAD, mentre nel 2008 furono ripristinati i pattugliamenti navali artici nonché la sorveglianza aerea lungo la rotta polare settentrionale NSR (North Sea Route): segno che qualcosa stava cambiando nella postura collaborativa di Mosca.

Verso l’inizio degli anni 10 la posizione russa cominciò ad essere infatti maggiormente assertiva, in parte per via di un generale miglioramento della situazione economica interna ma anche perché il progressivo sciogliersi dei ghiacci artici stava rendendo praticabile la NSR, la quale nel 2012 venne aperta già prima della metà di luglio. Si rendeva pertanto necessario per Mosca provvedere alla protezione di oltre 5.000 km di linea d’acqua tra Murmansk e Bering, di elevato e crescente valore economico potenziale nonché posta a ridosso degli enormi giacimenti di gas siberiani come quello di Urengoy – Yamal – Gyda e relative infrastrutture, considerate da Mosca delle risorse strategiche da includere entro il concetto difensivo del bastione (si veda oltre).
Rispetto alla Guerra Fredda, dove lo sbarramento degli accessi all’Artico era legato a questioni essenzialmente strategico-militari, si aggiungeva ora l’urgenza di provvedere alla difesa delle risorse e delle rotte in termini strategico-economici.
Da qui la decisione del Cremlino di attivare delle bolle di sicurezza in grado di trasformare l’oceano artico in una sorta mare costiero russo, controllandone gli accessi da ovest (Kola) e da est (Bering).
Tutto questo poteva essere ottenuto attraverso la riattivazione ed ammodernamento delle vecchie basi sovietiche dismesse e la costruzione di nuove infrastrutture: in pratica la realizzazione di un equivalente artico del “filo di perle cinese”, con l’ulteriore vantaggio, per Mosca, di poter giocare in casa senza dover dipendere cioè, per la concessione di basi, scali, ancoraggi ed infrastrutture, da capricciosi regimi o comunque da stati pronti a passare all’incasso.
L’oceano artico, con la sua costa al >50% controllata dalla Russia per uno sviluppo di oltre 24.000km, le sue strettoie ai due varchi principali occidentale ed orientale e la lunga banchisa polare a bloccarne l’accesso dal lato dell’emisfero nordamericano, pareva quindi l’ideale per una ennesima conferma del Sea Power di Mahan, attraverso l’applicazione del più rigoroso Sea Control lungo l’intera fascia costiera artica siberiana e relativa protezione della NSR, nonché del Sea Denial sopra tutto il resto dell’oceano artico o quantomeno sopra l’area di rivendicazione economica russa sottostante la banchisa polare, corrispondente ad oltre mezzo milione di miglia quadrate di piattaforma continentale sottomarina.

Non è un caso che l’US Geological Survey abbia stimato che nei fondali dell’Artico possa trovarsi un quinto delle riserve mondiali di petrolio e gas ancora da scoprire.
Vediamo quindi come Mosca ha proceduto alla rimilitarizzazione dell’Artico a partire dalla prima metà degli anni 10, quando dall’iniziale postura collaborativa decise di passare ad un atteggiamento decisamente più competitivo ed aggressivo.

Le rivendicazioni russe sulla piattaforma continentale artica (in grigio)



3. Bastioni
La crisi degli anni 90 aveva portato ad una pesante contrazione delle FFAA russe ed a una sostanziale riduzione numerica degli assetti navali, con conseguente ridimensionamento delle ambizioni della marina russa, dove il gigantismo dimensionale delle unità e l’ossessione di poter competere con la US Navy, che erano stati il leitmotiv dell’era gorshoviana, erano oramai solo un pallido ricordo.
Nonostante ciò la Flotta del Nord, tra le quattro in organico alla marina russa, era stata quella maggiormente preservata dai tagli per via del suo fondamentale ruolo strategico offensivo/difensivo, tanto da riuscire a mantenere in (precario) servizio le ultime più imponenti realizzazioni della cantieristica sovietica: due ex-Kirov, incrociatori nucleari pesanti lanciamissili da 28.000t, una ex-Kuznetsov, portaerei convenzionale da 60.000t, nonchè l’ultimo ex-Typhoon, SLBN da 34.000t recentemente radiato.

Il bastione ovest (in rosso) e la collana di perle insulare (in celeste). All’interno del bastione, nel mare di Bering (B) e nel mare di Kara (K) vi sono i “santuari” degli SSBN russi. Il gruppo di isole non cerchiato all’interno del bastione sono le Svalbard, territorio norvegese e quindi NATO



🔹Il Joint Strategic Command
Nel dicembre 2014, come prodotto di una riforma impostata quattro anni prima, il comando della Flotta del nord di Severomorsk venne riorganizzato come Northern JSC ovvero Joint Strategic Command (OSK Sever), vale a dire comando congiunto interforze responsabile di tutte le operazioni militari nell’artico occidentale e centrale, quindi non solo navali ma dell’intero spettro dimensionale: aeronautico, difesa aerea, operazioni terrestri ecc. In tal modo a beneficiarne fu il coordinamento tra i vari assetti, tra cui la necessità strategica di proteggere il vitale bastione occidentale da ogni possibile offesa, in modo da garantire ai sottomarini SLBN della flotta la piena libertà di operare (lanciare) al riparo da eventuali offese nemiche.
In tal senso oltre alla dimensione operativa navale il JSC comprendeva anche una giurisdizione territoriale amministrativa, analoga ai ruoli di distretto militare, estesa ad una parte della Russia nord-occidentale ed a quasi tutte le isole artiche, fino all’arcipelago della Nuova Siberia. Nel luglio 2016, come riferito dal Barents Observer, venne annunciato dal ministero della difesa russo, l’avvio della fase finale di riattivazione e riassetto di sei basi artiche con completamento lavori entro il 2017, nell’ambito di un piano di “rafforzamento della presenza russa” nella zona che vide, tra il 2014 ed il 2022 la realizzazione di ben 475 edifici e strutture militari di vario tipo, un centinaio dei quali nelle sei basi rimodernate.

Le basi erano quelle insulari di Nagurskoye, Rogachevo, Sredny Ostrov, Severny Klever (Kotelny) e Wrangel-Zyvozdny, oltre all’aeroporto civile di Mys Schmidta sulla terraferma siberiana, occasionalmente utilizzato per esigenze militari.

Come meglio vedremo nella seconda parte di questo articolo, dedicata al fronte terrestre, nel febbraio 2024 il Northern JSC venne abolito contestualmente alla riattivazione del Distretto Militare di Leningrado (DML): considerata da Mosca una prima risposta all’ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO. 
Giurisdizione territoriale dello JSC dal 15/12/14 al 28/2/24

Il nuovo distretto militare di Leningrado, dal 1° marzo 2024. Si noti come i gruppi di isole della Siberia centro-orientale non appartengano al DML


🔹Bastione Barents
Secondo la dottrina navale sovietica poi trasmessa alla marina russa, con il termine “bastione” si intende una vasta area di mare a ridosso della terraferma caratterizzata da elementi orografici tali da circoscriverla, nonché protetta da sistemi navali, aeronautici e difesa aerea tali da renderla fattualmente invulnerabile ad attacchi esterni con conseguente elevato grado di sopravvivenza per gli SSBN. In altre parole qualcosa di paragonabile alle attuali bolle A2/AD (Anti-access/Area-Denial).

In epoca sovietica erano stati individuati due di questi bastioni: uno era quello del mare di Okhotsk, nel Far-East dove operavano gli SSBN della Flotta del Pacifico.
L’altro era invece quello del mare di Barents entro la giurisdizione della Flotta del Nord, protetto sul lato-mare dagli arcipelaghi delle Svalbard, Terra di Francesco Giuseppe e Nuova Zemlja.

In tale scenario il compito imperativo tutt’ora assegnato alla Flotta è l’interdizione dell’accesso occidentale del bastione, vale a dire il cosiddetto Bear Gap largo circa 350mn tra Capo Nord, l’isola Bjørnøya (Bear Island) e Sorkappland all’estremità meridionale di Spitzbergen, nelle Svalbard norvegesi: passaggio obbligato per quegli SSN USA che volessero avventurarsi a caccia degli SSBN russi in pencolamento nel mare di Barents.

La protezione dell’accesso, oltre che agli assetti navali della flotta è affidato anche alle numerose altre risorse del JSC ed in particolare ai sistemi A/A ed alle basi aeree presenti nella penisola di Kola, comprendenti stormi di caccia, pattugliatori ASW e bombardieri. Sul lato della terraferma infine, il presidio del territorio è affidato al 14° Corpo d’Armata di Murmansk, le cui principali unità tuttavia, risultano attualmente schierate in Ucraina.

A tal proposito, secondo uno studio SWP l’intenzione di Mosca sarebbe quella di stoccare scorte di missili Kinzhal nelle basi circostanti, così da rendere proibitivo il costo del forzamento del Bear Gap.

Il Bear Gap è la porta d’accesso al bastione occidentale russo, la cui inviolabilità per Mosca è di importanza strategica imprescindibile


🔹Nagurskoye
Uno dei principali indicatori della rimilitarizzazione russa dell’Artico è senza dubbio la costruzione di nuove moderne infrastrutture, che vanno ad aggiungersi a quelle dismesse dopo il 1991 e via via riattivate a partire dal 2014.
Una di queste è la base di Nagurskoye situata sulla remota isola Alessandra facente parte dell’arcipelago Terra di Francesco Giuseppe.
La base aerea, con pista da 3.500m era stata costruita nel 1947 come scalo tecnico e d’emergenza per bombardieri.
Caduta in semi-abbandono dopo il 1991, Nagurskoye venne rimodernata a partire dal 2014 con pista d’atterraggio allungata e completata nel 2015 ed un insieme, architettonicamente ispirato al trifoglio artico, di nuovi edifici in grado di alloggiare fino a 150 uomini su una superficie totale di circa 14.000mq. Situata a 80° N, comprende un servizio SAR gestito dalla Guardia di Frontiera dell’FSB e risulta la base militare permanente più settentrionale attualmente operativa.
Divenuta pienamente operativa alla fine del 2018, la base dispone di due piste di atterraggio, di un complesso radar di sorveglianza aerea a lungo raggio 12A6 Sopka-2 nonché, dal 2021, di sistemi A/A Pantsir ed è sede del 71° Gruppo Tattico dotato di sistema antinave mobile da difesa costiera Bastion-P in grado di sparare missili Oniks e Styks. Nella base opera anche una compagnia EW con sistema P18 Terek, usato in abbinamento e supporto al Sopka-2.

Tecnicamente, Nagurskoye sarebbe in grado di operare per 12 mesi all’anno, ma al momento risulta utilizzata solo come QRA (Quick Reaction Alert) per velivoli da caccia e ricognizione come MIG31 e Su34, distaccati a rotazione dal reggimento aereo combinato di Monchegorsk sulla penisola di Kola: nondimeno, il dispiegamento a Nagurskoye di aerotanker Il78 può consentire a tali velivoli di estendere il loro raggio d’azione fino a raggiungere la base USA di Thule, in Groenlandia. Si ritiene che Nagurskoye sia in grado di supportare anche i bombardieri Tu-22M3, Tu-95MS e Tu-160.

Sopra e sotto, la base di Nagurskoye




🔹Rogachevo
Base aerea costituita in Nuova Zemlja nel 1942 ed a lungo utilizzata come supporto ai test nucleari nei poligoni più a nord, compreso quello della bomba Tsar del 30/10/61.
Altresì, in una ottica di interdizione d’area, fin dal dicembre 1950 Rogachevo ricevuto un reparto caccia intercettori su MiG 17 poi rimpiazzato nel 1972 da un reggimento di Yak28P, con capacità di tracciamento e contrasto velivoli strategici nemici, quali bombardieri B52 e ricognitori SR71.
Considerata di primaria importanza per il controllo dello spazio aereo e la sicurezza del bastione occidentale, Rogachevo era rimasta operativa seppure a ritmo ridotto anche durante la crisi degli anni 90.
Verso la fine del 2015, in pieno rilancio delle ambizioni russe sull’artico, ricevette un reggimento A/A dotato dei nuovi missili S400, considerato il reparto più settentrionale dove sia possibile inviare coscritti: tale unità è basata permanentemente a Rogachevo e si coordina, dal 2021, con il comando di un reggimento allerta precoce dotato di stazioni radar Rezonans-N OTH (over-the-horizon) disseminate in quattro siti sulla terraferma (Shoyna, Indiga, Zapolyarny e Gremikha) oltre a quello di Rogachevo. La base dispone anche di protezione A/A a corto raggio fornita dai Pantsir-S1 e del sistema antinave BastionP dotato di missili Oniks, potenzialmente in grado di interdire la navigazione alla variante meridionale della NSR passante per il mare di Pechora.

L’aeroporto, che dispone di una pista di 2.500m ha in carico, anche in questo caso come QRA, un distaccamento misto ricognitori Su-24 ed intercettori MiG 31B, distaccato a rotazione con Nagurskoye dal reggimento aereo combinato di Monchegorsk, nella penisola di Kola. Più recentemente Rogachevo ha ospitato distaccamenti di intercettori MiG31B e Su-33, nonché di cacciabombardieri Su-34 oltre ai cargo An-72 e An-26

Nell’aprile 2023 sono iniziati nuovi lavori per potenziare ulteriormente le capacità operative della base, compreso l’allungamento della pista a 3.500 e nuovi edifici e depositi con l’ambizione di farne una base aerea permanente capace di accogliere anche velivoli pesanti come i ricognitori strategici Tu142 ed i bombardieri Tu160.
Le basi insulari di Rogachevo e Nagurskoye. Quelle sulla terraferma non sono invece indicate a parte Polyarny e Murmansk. I siti nucleari sono quelli del Kursk e del test Tsar

La base di Rogachevo, da Google Earth. Sulla piazzola a sx sono visibili due caccia, un paio di cargo e tre elicotteri



🔹Graham Bell Island
Si tratta dell’isola più orientale dell’arcipelago di Francesco Giuseppe, nell’oceano artico a nord della Nuova Zemlja. Verso metà anni 50, in piena Guerra Fredda vi venne installata una stazione radar dual-use, abbinata ad un piccolo aeroporto con fondo in ghiaccio situato a 81 gradi Nord e preposto ad operare solo in inverno. Il sito dipendeva da Rogachevo ed era utilizzato come base avanzata per l’intercettazione di ricognitori e bombardieri strategici USA oltre che come base di stallo per i ricognitori pesanti sovietici Tu128, fino a quattro dei quali potevano trovare posto sulla pista di ghiaccio
Per le sue caratteristiche, poteva accogliere velivoli QRA per periodi limitati, compresi Su27 e MiG31.

Da metà anni 80 utilizzato per voli turistici e commerciali, venne dismesso nel 1994 e quindi progettualmente riattivato nel 2012. Non è chiaro però quali siano effettivamente le condizioni attuali del sito, che parrebbe tuttora abbandonato ed in rovina.



🔹Sredny Ostrov
Situata nel mare di Kara nel gruppo delle Severnaja Zemlia, a circa 580km a NE della Nuova Zemlja, Sredny Ostrov dispone di un aeroporto di ghiaccio costruito come l’analoga base posta sulla Graham Bell Island, verso fine anni ’50 quale punto di sosta per bombardieri strategici TU95 in missione verso gli USA. Altresì poteva fungere da base di stallo per i ricognitori pesanti Tu128.
La base, che dispone di una pista di 3.000m sarebbe operativa e collegata con voli cargo militari ed Aeroflot An26 e An72, come risulta da un video risalente al 2002. Poco più tardi, l’11/4/03, un An12 rimase semidistrutto in un incidente d’atterraggio.

Le basi operative di Sredny Ostrov e Severny Klever e quella apparentemente dismessa di Graham Bell

🔹Severny Klever – Temp
Base situata sull’isola di Kotelny, del gruppo delle Isole della Nuova Siberia, posta a 75 gradi di latitudine nord ed a circa 1.100mn dallo stretto di Bering.
La base di Temp era stata aperta nel 1949 attorno ad un piccolo aeroporto polare con pista di 2.500 metri, collegato allo scalo di Tiksi, sulla terraferma siberiana. Dotata di radar negli anni ’60, era stata dismessa nel 1993.
Venne riattivata nel 2013 e ampliata con architettura a trifoglio ispirata a quella di Nagurskoye: da qui il nome Severny Klever (Northern Clover) attribuito alla nuova base, completata nel 2016 e capace di ospitare 50 soldati estendibili a 250. Dal settembre 2014 Severny Klever è sede del 99° gruppo tattico artico dotato di sistema antinave Bastion-P, mentre la protezione A/A a corto raggio è affidata anche in questo caso a sistemi Pantsir. A sua  volta modernizzata ed ampliata, la base di Temp è ora in grado di ricevere anche i grossi cargo Il76, mentre attraverso i suoi sistemi radar Sopka-2 svolge il ruolo di allerta precoce e può fornire supporto alla divisione difesa aerea basata a Tiksi. Sarebbe inoltre in programma l’estensione della pista di Kotelny in modo da renderla fruibile per gli Il76.

La base di Severny Klever

🔹Wrangel Zyvozdny
Circa a metà strada tra le isole orientali dell’arcipelago della Nuova Siberia e la solitaria isola Wrangel termina la giurisdizione della Flotta del nord e del Northern JSC ed inizia quella della Flotta del Pacifico e relativa Eastern JSC comprendente anche l’area strategica dello Stretto di Bering antistante l’Alaska.
L’isola Wrangel non ricade quindi sotto Murmansk bensì nella giurisdizione di Vladivostok e costituisce praticamente la porta d’ingresso all’Artico orientale.
Anche in questo quadrante, come in quello occidentale, vi sono stati ammodernamenti e riattivazioni di strutture negli ultimi 20 anni, ma ad un ritmo minore e con intenti più modesti. Sull’isola Wrangel è stata ad esempio edificata a partire dall’ottobre 2014 una nuova base modulare prefabbricata denominata Polar Star ovvero Arctic Clover, priva però di batterie antiaeree (Pantsir) ed antinave (BastionP) e senza scalo aereo, sostituito da un rudimentale ancoraggio navale collegato con il piccolo aeroporto civile di Mys Schmidta, sulla terraferma siberiana. Attualmente il ruolo della base di Wrangel, che presumibilmente verrà ampliata in futuro, risiede nella sorveglianza radar attraverso un complesso Sopka-2 della portata di 450km,  progettato però per essere integrato in una rete di allerta precoce in grado di rilevare attività delle basi militari USA di Eielson, Elmendorf e Fort Greely in Alaska.

La base di Wrangel, fronte all’Alaska. Fort Greely ospita una base di missili intercettori anti-ICBM

4. Considerazioni

La militarizzazione russa dell’Artico persegue tre obiettivi principali:

🔹la protezione prioritaria e strategica del bastione occidentale con interdizione a terzi del “santuario” SSBN del mare di Barents e controllo perimetrale a 360° attorno al bastione

🔹la protezione aeronavale della NSR attraverso un crescente dispositivo antiaereo ed aeronautico lungo la “collana di perle” insulare

🔹la protezione della ZEE artica internazionalmente riconosciuta, nonché la presenza (saltuaria) su quella rivendicata.

Per raggiungere questi obiettivi la Flotta del Nord, il cui baricentro rimane comunque l’Atlantico, ha investito negli ultimi 20 anni notevoli risorse incentrate principalmente sulla creazione in artico delle bolle A2/AD, col risultato di ottenere copertura completa al bastione ovest e via via più sfumata procedendo verso est. A ciò va aggiunto il notevole potenziamento del dispositivo difensivo sulla terraferma russa, attraverso la riattivazione di parecchie basi e l’apertura di nuove.

Viceversa poco significativo appare l’incremento delle capacità offensive convenzionali navali della Flotta del Nord, che ben lungi dall’essere uno strumento oceanico (blue water), rimane un assetto principalmente difensivo preposto al Sea Control dei mari regionali russi (green water), pur con qualche sporadica ambizione di Sea Denial su quei tratti antistanti di blue water, come nel caso dell’Atlantico settentrionale. Le stesse capacità artiche della flotta appaiono limitate: solo saltuariamente infatti naviglio di superficie è stato visto avventurarsi nei mari artici ad est della Nuova Zemlja, in parte per via della relativa scarsità di rompighiaccio militari (18), alcuni dei quali sono però in costruzione. In tal senso la protezione diretta della NSR rimane affidata basicamente agli assetti aerei e missilistici. Si aggiunga poi la vetustà di buona parte del naviglio, che esclusi alcuni sottomarini (delle classi Yasen e Borei), risale ancora agli anni terminali sovietici o comunque a progetti sviluppati in epoca sovietica e messi in cantiere solo nel decennio successivo per carenza di fondi.

La NSR (in nero). Le bolle A2/AD (in celeste). I bastioni est ed ovest (in rosso). Le aree di potenziale diniego (in verde). Non sono qui considerate le basi sulla terraferma che forniscono ulteriore continuità e protezione alle bolle A2/AD

Nonostante questi limiti, la Flotta del Nord rimane l’elemento egemone nel teatro artico. Nessun’altra marina mondiale infatti dispone nell’artico di risorse paragonabili a quelle della Flotta del Nord che, seppure ridimensionata di >4/5 volte rispetto ai tempi d’oro sovietici, rimane temibile nel dominio sottomarino ed in particolare nel settore SSN e SSGN, dove dispone ancora di diversi battelli in grado adempiere ruolo antinave pesante, ovvero di essere gli unici assetti della flotta capaci di proiettare potenza.

Non per nulla, quale risposta alla maggiore assertività russa, vi è stata nel 2018 la decisione della US Navy di riattivare a Norfolk la Seconda Flotta, responsabile sul nord Atlantico (disciolta nel 2011) ed asservita ad un nuovo Joint Force Command (JFC Norfolk): segno che i tempi della distensione est-ovest erano definitivamente tramontati. Non solo era l’Atlantico a riproporsi come area di tensione prefigurando i contorni di una Quarta Battaglia dell’Atlantico che potrà essere combattuta anche in inedite forme ibride ed insidiose (gasdotti, cavi sottomarini, piattaforme ed impianti estrattivi), ma si apriva anche lo scenario artico del tutto nuovo e che difficilmente rimarrà escluso da un futuro confronto tra i nuovi blocchi.

Da collaborazione a competizione e da competizione a conflitto (non ancora aperto): il destino prossimo dell’Artico sembra segnato.



Fine parte prima.

La parte seconda tratterà delle basi navali nella penisola di Kola



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