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lunedì 2 giugno 2025

Bastione Kaliningrad: perno della strategia russa nel Baltico




1. Dominus

Fino al 1945 si chiamava Königsberg ed era nota ai più come città natale di Kant.

Poi nel 1946 i sovietici, nella loro solita iconoclastìa ideologica, la ribattezzarono Kaliningrad dedicandola alla memoria di Michail Kalinin, remoto rivoluzionario bolscevico di scarsa fama e virtù politiche mediocri.

Attorno alla città fu creato l’oblast omonimo, di superficie pari a quella della Calabria, spartendo con la repubblica popolare polacca quella che per secoli era stata l’ex-Prussia Orientale tedesca, etnicamente “ripulita” della popolazione originaria costretta all’esodo nel 1947-49 (100.000) oppure morta di stenti sotto il regime d’occupazione dopo il 1945 (36.000).

La vecchia Königsberg prussiana. Dei 7 secoli di cultura tedesca non rimane quasi più nulla


Gli appetiti di Stalin erano stati quindi soddisfatti e l’oblast di Kaliningrad, adiacente ai paesi baltici nuovamente ritornati sotto dominio sovietico, divenne la prima linea sovietica nel Baltico, strategicamente importante, perché protrudeva verso occidente un ulteriore tratto di costa in aggiunta a quelle già possedute, inclusivo di un porto come quello di Königsberg, perennemente libero dai ghiacci.

Kaliningrad divenne quindi sede del comando della flotta sovietica del Baltico: una posizione più centrale rispetto a Riga e Leningrado, che garantiva a Mosca il ruolo dominante nel Baltico. Oltre a ciò, l’annessione all’URSS prevista dalle clausole di pace con Helsinki del 1944 della piccola isola di Gogland, posta al centro del Golfo di Finlandia e porta d’accesso a Leningrado, nonché la smilitarizzazione in cambio del ritiro (1946), dell’isola danese di Bornholm, che le truppe sovietiche avevano occupato nel 1945, conferiva a Mosca due ulteriori elementi di supremazia nel Baltico, vieppiù rafforzati dall’antica smilitarizzazione delle isole finlandesi Åland garantita da una convenzione del 1856.

La nascita del Patto di Varsavia nel 1955 non fece altro che accentuare questo sbilanciamento strategico a favore di Mosca: il Baltico era diventato di fatto un lago sovietico dominato dalla marina russa coadiuvata da quella non piccola della DDR e dalle forze navali polacche perlopiù costiere, con la presenza NATO relegata all’estremo ovest del bacino e con le sole flottiglie danesi e tedesco-occidentale a contenderne la supremazia.

Non stupisce quindi che Mosca, negli anni della Guerra Fredda abbia tentato più volte di congelare e capitalizzare questa situazione di vantaggio, proponendo l’idea del Baltico come “mare di pace” demilitarizzato ed interdetto alla navigazione militare, fatta eccezione per le marine degli stati rivieraschi: ipotesi ovviamente rigettata dagli USA i quali, nel 1971, inaugurarono la serie di manovre militari aeronavali denominata BALTOPS tuttora in corso (BALTOPS 24 4-20/6/24), con cui veniva ribadito il sacrosanto diritto di libera navigazione nelle acque internazionali.

A parte le dichiarazioni di principio almeno fino alla metà degli anni 70 le opzioni strategiche della NATO nel Baltico rimasero comunque limitate alla sola chiusura degli stretti danesi al fine di impedire il temuto congiungimento nel Mare del Nord delle flotte sovietiche del Baltico e del Nord.

Per il resto veniva data per scontata, in caso di guerra, la rapida occupazione della costa tedesca e della penisola dello Jutland oltre ad una probabile violazione della neutralità svedese con conseguente invasione della Scania per garantirsi il pieno controllo del Sund.

Per tutto il corso della Guerra Fredda dunque, il Baltico fu considerato da Mosca un’area a rischio militare pressoché nullo, con la sola preoccupazione di dover occupare rapidamente lo Jutland in modo da guadagnare l’accesso al Mare del Nord.


La situazione strategica fino al 1989. La NATO era relegata nell’angolo occidentale del Baltico, con l’unica opzione di bloccare gli stretti danesi per impedire il congiungimento delle flotte del Nord e del Baltico


2. Riflusso

Il primo duro colpo alla supremazia sovietica nel Baltico giunse tra il 1989 ed il 1990, con la riunificazione tedesca e la fine del Patto di Varsavia, che sottraeva a Mosca il controllo di circa 600km di costa baltica, con conseguente arretramento del baricentro operativo della Flotta del Baltico che si vedeva allontanata la possibilità di forzare impunemente gli stretti danesi, con l’aggiunta di un primo complicarsi della posizione di Kaliningrad, non più invulnerabile come ai tempi della Guerra Fredda.

Molto più grave fu poi il secondo colpo inferto nel 1991 con l’indipendenza degli stati baltici, che toglieva a Mosca il controllo dell’intera costa orientale del Baltico e portava Leningrado/San Pietroburgo di fatto in prima linea. Rimaneva sotto controllo russo, ma come exclave separata dal territorio nazionale l’oblast di Kaliningrad.

Nel 2004 l’ingresso nella NATO dei tre paesi baltici inferse a Mosca il colpo fatale alle sue aspirazioni di poter tornare ad essere il dominus nel Baltico: con la deterrenza insita nell’Art.5 dello statuto NATO veniva infatti preclusa a Mosca la tentazione di imbarcarsi in avventurismi contro i baltici senza rischiare di trascinarsi contro tutta l’Alleanza. In altre parole, l’ingresso dei baltici nella NATO migliorava la posizione dell’Occidente in quanto deterreva Mosca dall’idea di usare l’opzione militare contro i propri vicini, ma senza degradare il livello di sicurezza della Russia

La NATO infatti si trovava ora di fronte ad un problema derivato da un obbligo, ossia quello di dover difendere un’area molto difficilmente difendibile in quanto caratterizzata da diverse vulnerabilità: tra queste, la quasi inesistente profondità strategica del territorio baltico, collegata all’inopportunità politica di pre-posizionare massicce guarnigioni NATO a sua difesa.

Non solo. Si apriva la questione del gap di Suwalki, per la relativa facilità con cui avrebbe potuto essere recisso da una forza russa attaccante, con conseguente creazione di una enorme sacca scollegata dal resto del territorio NATO.

Risulta quindi evidente come, in tali condizioni, l’aumentata minaccia lamentata dal Cremlino apparisse pretestuosa oltre che irrealistica. Ed infatti, Mosca colse immediatamente l’occasione per massimizzare la vulnerabilità del gap di Suwalki, reinventando un ruolo all’oblast di Kaliningrad: che venne quindi fortemente militarizzato con l’intento di renderlo una spina nel fianco della NATO, relativamente alla difesa del settore baltico.

Il gap di Suwalki. A Rukla presso Kaunas si trova la base del battaglione multinazionale NATO a guida tedesca. Se il gap di Suwalki dovesse essere tagliato, i tre paesi baltici si ritroverebbero dentro una specie di sacca simile a quella in cui venne rinchiuso il gruppo di armate Nord tedesco nel settembre 1944


3. Fortezza

Per diversi anni, dopo il 1991, l’oblast di Kaliningrad era stato tra i territori negletti dell’intera federazione russa, marginale, privo di risorse proprie, scollegato dal territorio, al punto che per un circa un decennio, negli anni ’90 fu attivo nell’oblast un movimento autonomista nel cui programma vi era l’accesso alla completa indipendenza nella forma di una quarta repubblica baltica. Nel 2003, Putin presidente, il movimento fu messo fuorilegge.

Negli stessi anni ebbe inizio la trasformazione di Kaliningrad in un bastione avanzato, in grado sia di proiettare potenza nel Baltico e nelle regioni adiacenti mediante la flotta e attività varie aggressive di guerra ibrida, sia di interdirne l’accesso a forze (considerate) ostili attraverso la stratificazione di un mix di sistemi antiaerei (A/A), antinave (A/N), radar e di guerra elettronica (EW).

Si delineava quella che in termini tecnici viene chiamata bolla A2/AD, ovvero una architettura difensiva/offensiva in grado di negare all’avversario la manovra tattica e strategica.

Mosca infatti aveva intravisto in Kaliningrad non una propria vulnerabilità bensì una opportunità per contrastare quella che si stava delineando come una superiorità (non ancora supremazia) NATO nel Baltico.

Erano i tempi della cosiddetta “dottrina Primakov” che postulava l’idea di riportare la Russia al rango “che le competeva”, mettendola nelle condizioni di poter competere in inferiorità contro un avversario più prestante.

Da qui, dopo essersi rassegnata ad accettare la presenza NATO nel Baltico (inesistente fino al 1989), la strategia di interdirne i movimenti in caso di conflitto, facendole pagare il prezzo più alto possibile ad ogni tentativo. In questo scenario, bloccare o quantomeno ridurre al minimo le comunicazioni marittime NATO tra il Baltico centro-occidentale controllato dalle marine occidentali e quello centro-orientale che rimaneva conteso, era funzionale alla strategia di isolare i baltici via terra tagliando il gap di Suwalki e creando cosi le condizioni per neutralizzare il fianco nord-orientale dell’Alleanza Atlantica e mettendo per di più in sicurezza San Pietroburgo e le sue comunicazioni con Kaliningrad.

Kaliningrad dopo gli anni dell’abbandono fu quindi scelta da Mosca come bastione baltico del proprio sistema di interdizione strategica, così come lo era da tempo la penisola di Kola (si veda qui) e più recentemente lo erano diventate la Crimea annessa e la Siria.

In ognuno di questi teatro l’obiettivo di Mosca rimaneva lo stesso (con singole varianti locali): stabilire la propria superiorità all’interno della bolla ed impedire o almeno ostacolare le attività del nemico nei settori chiave: artico occidentale (Murmansk), baltico centrale (Kaliningrad), Mar Nero (Sebastopoli) e Mediterraneo orientale (Latakia).

La bolla di Kaliningrad con il raggio d’azione dei principali sistemi difensivi. Non è indicato il sistema Kalibr basato sulle navi in quanto la portata fuoriesce dai confini della mappa



4. Risorse

Assieme alla penisola di Kola, Kaliningrad è una regioni più militarizzate della federazione russa. Nonostante ciò per lungo tempo ricevette scarsa attenzione in termini di ammodernamento tecnico e miglioramento di capacità e prontezza, avviati solo dal 2016.

Una eccellente rappresentazione grafica delle unità schierate nell’oblast di Kaliningrad la fornisce lo studio di Konrad Muzyka “Russian Forces in the Western Military District”, Center for Naval Analyses del dicembre 2020, che fotografa la situazione della forza giunta probabilmente al suo apice circa un anno prima dell’invasione dell’Ucraina.

Da allora soprattutto relativamente alle forze di terra, vi sono state ulteriori modifiche nella struttura, ma soprattutto una significativa erosione nel numero e nella consistenza dei reparti inviati in Ucraina, che ha coinvolto anche alcune unità della Flotta del Baltico, preventivamente trasferite (ovvero prima della chiusura degli stretti imposta dalla Turchia), a quella del Mar Nero.


🔹Forze di terra

Il nucleo delle forze di terra rimane rappresentato dallo 11° corpo d’armata, unità di truppe costiere subordinato al comando dalla flotta, al cui interno la principale unità è la nuova 18a Divisione Fucilieri motorizzati della Guardia, formata nel dicembre 2020 per espansione della precedente 79a brigata fucilieri autonoma.

La 18a Divisione è formata basicamente da tre reggimenti motorizzati (79°, 275° e 280°) e da un reggimento carri (11°), oltre ai reparti di supporto. Almeno una parte della divisione risulta al momento dispiegata in Ucraina.

Dallo 11° corpo d’armata dipendono anche il 7° reggimento indipendente fucilieri, che a quanto pare si sarebbe parzialmente rifiutato di combattere dopo essere stato trasferito in Ucraina, la 244a brigata artiglieria e la 22a brigata antiaerea. Completa gli organici la 152a brigata missilistica di teatro di Chernyakovsk, dal 2018 dotata di Iskander-M per attacchi anche nucleari contro obiettivi terrestri.

Di rilievo è poi la 336a Brigata fanteria navale denominata “Bialystok”, che non dipende dallo 11° CdA bensì direttamente dal comando flotta. Si tratta di fucilieri di marina in grado di compiere operazioni anfibie, diversi dei quali reduci dal Donbas 2014 e dalla Siria 2016. La Brigata, su tre battaglioni fucilieri uno dei quali con qualifica VDV, ha normalmente sede a Baltijsk, presso la base della flotta, anche se dal febbraio 2022 si trova dispiegata in Ucraina.

A Donskoje, a nord di Baltijsk si trova poi il 25° reggimento missilistico costiero su due battaglioni dotato di missili antinave Bal e Bastion-P: si tratta di uno degli elementi offensivi/difensivi della bolla, preposto all’interdizione marittima.

Un ulteriore elemento della bolla A2/AD e l’841° centro EW di Yantarny con due battaglioni preposti alla guerra elettronica ed equipaggiati con apparati in grado di monitorare lo spettro elettromagnetico intercettando, decifrando e disturbando le emissioni avversarie. Il centro agisce in un campo operativo contiguo a quello del 742° centro trasmissioni il quale invece gestisce le comunicazioni militari all’interno dell’oblast.

La Flotta del Baltico, così come le altre tre flotte, dispone infine di una piccola unità di spetsnaz navali, conosciuta come 561° OMRP che si trova accasermata a Baltijsk presso la base della flotta.


🔹Forze aeree

Un elemento fondamentale per la sicurezza è l’interdizione della bolla sono i reparti per la difesa aerea, sia missilistici che pilotati. Tradizionalmente l’URSS aveva sviluppato un completo sistema antiaereo multilivello che ai tempi sovietici era gestito come una quinta forza armata posizionata al terzo posto nell’ordine delle priorità comparate: 1° forze strategiche; 2° forze di terra; 3° difesa aerea; 4° aeronautica; 5° marina.

Seppure tra drastiche ristrutturazioni e tagli, l’enfasi alla difesa aerea è stata ereditata dalla federazione russa e quindi applicata nelle bolle A2/AD.

Relativamente a Kaliningrad, la protezione antiaerea della bolla è stata fatta ricadere entro la giurisdizione della 44a divisione difesa aerea (DDA) che dispone di due reggimenti intercettori missilistici vale a dire il 1545° SAM ed il 183° SAM: il primo su due battaglioni di S400 ed il secondo con quattro battaglioni di S400 e due di S300. I reggimenti avrebbero in dotazione anche una aliquota di sistemi Pantsir per la difesa a corto raggio

Il dispiegamento dei battaglioni sarebbe il seguente:

– S400 a Mamonovo a protezione di una base radar

– S400 (due battaglioni) a Baltijsk a protezione della Flotta

– S400 presso Lunino a protezione di una base radar

– S400 a Donskoje a protezione della base aerea

– S400 a Gvardejsk a protezione del comando 44a DDA

– S300 (due battaglioni) a Chernyakovsk a protezione della 18a divisione motorizzata

Oblast Kaliningrad – metà occidentale. La disposizione della difesa aerea

La base di Chkalovsk

La stessa base di Chkalovsk. Aumentando lo zoom è possibile contare fino a 19 Su27


La 44a DDA dispone inoltre di una terza pedina, vale a dire l’81° reggimento radiotecnico, che gestisce le basi radar fisse di Ryabachi, Lunino e Mamonovo, oltre agli apparati mobili serie Nebo e Gamma.

La difesa aerea missilistica è connessa operativamente a quella pilotata che nell’oblast di Kaliningrad ricade sotto la 34a divisione aerea combinata (DAC), formata da tre reggimenti aerei della Guardia: il 689° di Chkalovsk con due squadroni di Su27, il 4° di Cherniakhovsk con uno squadrone di Su24 ed uno di Su30 ed il 396° di Donskoje con uno squadrone elicotteri AEW su Ka27, uno d’attacco su Mi24 ed uno da trasporto su Mi8. Il tutto per un totale di un centinaio di velivoli. La base del comando della 34a DAC si trova presso la base di Chkalovsk, una delle più grandi di Russia, recentemente ammodernata, mentre altre due basi importanti sono quelle di Donskoje e Cherniakhovsk.

Da notare come alcune fonti riportino (nel 2019) la 132a DAC invece della 34a DAC, rendendo plausibile la versione che la seconda sia semplicemente una riconfigurazione della prima.

Un ulteriore potenziale asset infine è l’aeroporto civile di Kaliningrad Chrabrovo, che non ospita velivoli militari ma che accoglie i cargo da trasporto.

Oblast di Kaliningrad, metà orientale con i siti di lancio degli S300

Un settore della base di Chernyakhovsk. Si notino al centro del piazzale otto complessi di lancio S300. By Google Earth

Un settore della base di Chernyakhovsk con due Su24 parcheggiati presso quattro hangar mimetizzati



🔹Forze navali

La Flotta del Baltico contribuisce all’efficacia della bolla di Kaliningrad facendo densità di sistemi missilistici antiaerei ed antinave. Tradizionalmente la marina sovietica, a differenza di quelle occidentali, sovraccaricava di armamenti le proprie unità dotando di importanti sistemi offensivi missilistici anche quelle minori classificabili nel segmento tra le motovedette e le corvette. Ricordiamo ad esempio la prolifica famiglia delle Osa (+400), motomissilistiche da 200t dotate di ben quattro missili antinave Styx e due CIWS. Si capisce quindi come, per quanto vulnerabili, sciami di queste unità così pesantemente dotate, fossero potenzialmente in grado di infliggere danni gravi anche a navi maggiori e prestanti.

Questa tradizione, ancorché drasticamente ridotta nei numeri, è stata mantenuta dalla marina russa, che ha impiantato sistemi missilistici su ogni genere di naviglio da combattimento.

Non fa eccezione la Flotta del Baltico suddivisa tra le basi di Kronstadt (San Pietroburgo) e soprattutto Baltijsk (Kaliningrad) dove risiede buona parte del naviglio di superficie e segnatamente:

1) La 36a brigata navi missilistiche, con quattro corvette classe Buyan, tre corvette leggere classe Karakurt, quattro vecchie motomissilistiche classe Nanuchka e sei vecchie corvette leggere classe Tarantul. Questo naviglio considerato leggero è teoricamente in grado di sparare in una unica salva ben 56 missili antinave Kalibr, 64 Kh35 e 24 Styx.

2) La 128a Brigata navi di superficie con sette tra cacciatorpediniere, fregate e corvette. Nave ammiraglia è l’anziano caccia Nastoychivy della classe Sovremenny da 8.500t entrato in servizio nel 1992 ed armato con otto missili antinave Moskit. Ragionevolmente più moderne le altre unità complessivamente in grado di sparare una salva di 40 missili antinave Kh35.

3) La 71a Brigata navi anfibie con in carico quattro LST classe Ropucha e due LCAC classe Zubr. Relativamente alle Ropucha, tre di esse (Minsk, Kaliningrad e Korolev) sono assenti in quanto dispiegate di rinforzo alla Flotta del Mar Nero alla vigilia dell’invasione.

4) La 64a Brigata difesa navale, con tre vecchie corvette antisom classe Parchim ed una decina di dragamine.

5) Si aggiungono poi due navi spia ELINT classe Vishnya, mentre è di fatto assente la componente subacquea con un solo Kilo basato a San Pietroburgo.

La disposizione della flotta e dei reparti navali collegati





Veduta parziale della base di Baltijsk. Indicata dalla freccia rossa l’ammiraglia della Flotta del Baltico, il caccia Nastoychivy della classe Sovremenny. La freccia verde indica una delle due fregate della classe Neustrashimy, mentre le frecce bianche indicano due corvette classe Steregushchy

Stessa immagine riorientata e zoomata del Nastoychivy


Come si può vedere, non si tratta di un complesso particolarmente imponente né moderno, ma che negli stretti spazi del Baltico ed a confronto con le piccole marine locali può risultare pericoloso se utilizzato come parte funzionale e coordinata del sistema difensivo/offensivo rappresentato dalla bolla: sia come potenza d’attacco (una salva di circa 200 missili antinave più i Bastion in carico alla difesa costiera), sia come ombrello difensivo, grazie alla combinazione dei sistemi antiaerei basati sulle navi e di quelli a terra.

Ne consegue che il forzamento aeronavale della bolla A2/AD di Kaliningrad può essere certamente possibile da parte ad esempio di un CSG posizionato a tiro di Tomahawk al largo della Scozia, avendo però cura di predisporre le opportune difese verso quei Kalibr navali a lunga gittata presenti nella flotta russa oltre alla consueta adeguata copertura aerea propria di ogni CSG

Utile sarebbe poi la predisposizione da parte NATO di un analogo sistema di difesa a bolle sulle isole Bornholm, Gotland e Saaremaa in modo da ridurre a colli di bottiglia gli spazi di manovra della Flotta del Baltico e le sue vitali comunicazioni con San Pietroburgo. La bolla su Saaremaa e l’adiacente Hiumaa (dove è in valutazione l’idea di una base navale) sarebbe poi utile per bloccare il Golfo di Finlandia e quindi la base di Kronstadt.

Da sottolineare poi come da pochi giorni (metà luglio 2024) sia divenuta pienamente operativa la base US Navy di Redzikovo sulla costa baltica polacca ad ovest di Gdynia, dotata di radar AEGIS Ashore e silos di lancio per missili intercettori anti-IRBM.

Una possibile catena di perle baltica. La base di Hiiumaa consentirebbe di bypassare la neutralità storica delle isola Åland, soprattutto se venisse rafforzata la base di Dragsvik, attualmente sede di un brigata di cacciatori costieri finlandesi


5. Violazioni

Qualche considerazione sugli Iskander nucleari presenti a Kaliningrad che come già accennato, sono inquadrati nella 152a brigata missilistica di Chernyakovsk.

Gli Iskander sono un sistema d’arma progettato in diverse versioni i comprendente veicolo da trasporto fuoristrada, modulo di lancio (TEL) montato sull’autocarro e missile alloggiato all’interno del TEL. Dell’intero sistema, l’unico elemento comune a tutte le versioni è il veicolo da trasporto. Diversi invece sono i modelli di missile e di conseguenza le TEL da cui possono essere lanciato. È il missile quindi a fare la vera differenza, che può essere a traiettoria balistica oppure da crociera; su ambedue le tipologie possono essere essere montati vari tipi di testata: a frammentazione, alto esplosivo, bunker blaster, termobarica e nucleare. A seconda della tipologia e della testata varia considerevolmente la gittata del missile, che parte dai 500 km per i balistici e può arrivare a 3.000 km per quelli da crociera modello 9M729 (SSC-8).

Nel caso di Kaliningrad ad essere schierato permanentemente fin dal 2018 è il modello balistico 9M723, con 500 km di raggio, CEP di 10m e velocità di volo terminale pari a mach 6 o 7 per un tempo stimato di 6 minuti. In questo caso il il TEL può alloggiare due di tali missili capaci di colpire Varsavia, Danzica, Vilnius e Riga con una testata >10kt, nonché di sfiorare Berlino, Copenaghen e Stoccolma.

Il tutto in aperta violazione al trattato INF del 1987 che proibisce il piazzamento di vettori di teatro con raggio di 500÷5.000 km.

Il raggio d’azione degli Iskander-M nella variante balistica raggiunge Riga, Vilnius e Varsavia ed arriva a sfiorare Stoccolma, Copenhagen e Berlino. Il sistema ABM di Redzikovo non è in grado di intercettare gli Iskander


6. Implicazioni

L’ultimo colpo micidiale alle ambizioni russe nel Baltico è stato però inferto nei mesi scorsi con l’ingresso nella NATO di Svezia e Finlandia, che ha mutato pesantemente il quadro strategico delle due parti in causa. Infatti non solo ha aumentato di centinaia di km la profondità strategica del settore NATO settentrionale ma ha anche ridimensionato notevolmente l’importanza della bolla di Kaliningrad.

In primo luogo quello che fino al 1989 era un “lago sovietico”, adesso è diventato un “lago NATO” dominato a 360° dai paesi dell’Alleanza, fatta eccezione per lambolla di Kaliningrad e per il collo di bottiglia del Golfo di Finlandia che rischia di diventare una trappola mortale per quella parte della Flotta del Nord basata a Kronstadt.

Da ciò deriva il problema dei collegamenti tra Kaliningrad ed il territorio russo. In caso di guerra la SLOC con San Pietroburgo sarebbe gravemente compromessa, a maggior ragione se dovessero essere create le bolle di Gotland e Saaremaa. E comunque anche in loro assenza per via della possibilità da parte della NATO di utilizzare le numerose basi aeree svedesi e finlandesi contro la Flotta del Baltico e la stessa Kaliningrad.

In questo scenario viene anche ridimensionata l’importanza del gap di Suwalki, la cui recisione avrebbe isolato completamente i baltici dal resto dell’Alleanza; ora invece viene mantenuta continuità territoriale, pur attraverso il Golfo di Finlandia e soprattutto è possibile elaborare un sistema difensivo d’area integrato balto-scandinavo che sfrutti la vicinanza di Svezia e Finlandia ai paesi baltici, in termini di linee di comunicazione e supporto diretto alla linea di combattimento, in particolare attraverso le marine e le moderne aviazioni dei due scandinavi. In altre parole, i baltici non sono più “soli”.

L’ingresso della Finlandia poi, porta ad un allungamento di 1.340 km della linea di contatto NATO-Russia: che se da un lato aggiunge una ulteriore variabile alla strategia difensiva NATO, dall’altro lato impedisce alla Russia di lanciarsi in avventurismi sul fronte baltico senza essersi premunita lungo quello finlandese: il che significa distogliere risorse importanti che avrebbe potuto utilizzare altrove. In altri termini, un attacco contro i baltici non può non tenere conto del fronte finlandese.

Svezia e Finlandia apportano “muscoli” in una regione che per la NATO è sempre stata secondaria rispetto al temuto “fronte centrale”: in un certo senso spostano il baricentro dell’Alleanza verso N, vista anche la crescente assertività della Polonia che si appresta a diventare il pivot dell’Alleanza alla cerniera tra i quadranti nord e centro. Ne deriva una maggiore attenzione della NATO alla questione dell’Artico, finora negletto, con conseguente prospettiva, per il nuovo distretto militare russo di Leningrado, di doversi ritrovare a gestire una doppia crisi sia sul fronte artico che su quello baltico, senza però che i due teatri possano comunicare tra loro sostenendosi reciprocamente. Ne deriva un ulteriore isolamento delle risorse russe nel Baltico e di conseguenza un beneficio indiretto per la NATO.

Da ultimo, i territori di Svezia e Finlandia potranno funzionare da piattaforme logistiche, con innegabili benefici in termini di tempi e disponibilità alle operazioni dell’Alleanza. È del dicembre 2023 un accordo tra Stoccolma e Washington che apre agli USA l’accesso di ben 17 basi svedesi, con autorizzazione a stoccarvi armi (tranne quelle nucleari), munizioni e carburanti. Analogo l’accordo firmato a inizio luglio con Helsinki, che apre agli USA l’accesso a 15 basi militari finlandesi, cinque delle quali in Lapponia, non lontane dalla strategica penisola di Kola. Ne deriva un pre-posizionamento che non potrà che portare benefici alla reattività della NATO.

La base elicotteri di Donskoje, sede del 369° reggimento misto


Base di Donskoje: un tratto della pista di parcheggio dove si riconoscono 7 dei 12 heli d’attacco Mi24 VP in forza al 369° Rgt misto


7. Conclusioni

A partire dal 1989 il dominio di Mosca nel Baltico è andato restringendosi fino ai minimi termini attuali, ricacciato entro due angusti spazi periferici (Kronstadt e Kaliningrad) precariamente collegati in tempo di pace da una SLOC che in tempo di guerra finirebbe fatalmente per essere recisa.


Ciò non significa però un peggioramento in sé delle condizioni di sicurezza della Russia, bensì una diminuzione delle sue opzioni di attacco e di conseguenza un miglioramento di quelle difensive della NATO. Non si tratta ovviamente di un mero sofisma semantico ma di un qualcosa che riguarda la tradizionale impostazione strategica delle due parti: esclusivamente reattiva quella della NATO, aggressiva-offensiva quella russa. Si spiega con tale meccanismo il perché, vedendosi privata di alcune (anche se non tutte) opzioni offensive, Mosca arrivi a considerarsi minacciata dal punto di vista difensivo.

Tutto questo è frutto di una percezione ideologica palesemente irrealistica in quanto la NATO mai nella sua storia, ha pianificato operazioni offensive-preventive nei confronti di Mosca, che fosse Russia oppure Unione Sovietica.

Allo stesso tempo però è impensabile che la preoccupazione occidentale per le percezioni paranoiche ed eventuali reazioni scomposte di un regime imperialista e militarista come quello russo possa compromettere il giustificabile bisogno di sicurezza dei paesi democratici con esso confinanti, al punto da accondiscendere ai ricatti e diktat degli Stranamore del Cremlino. Ed infatti ciò non è avvenuto con l’ingresso dei baltici nella NATO, ciò non è avvenuto neanche col recente l’arrivo di Finlandia e Svezia.

La sicurezza delle democrazie va salvaguardata indipendentemente dalle percezioni distorte di un regime odioso, retrogrado e solipsistico come quello di Putin; ergo occorre implementare tutte quelle misure atte a migliorare la sicurezza collettiva: compresa la postura assertiva, compreso il riarmo, compreso l’ingresso di nuovi membri come Finlandia e Svezia. E magari un domani anche Ucraina e Georgia.

Altra veduta di Donskoje. Quelli in primo piano sono 5 heli antisommergibile Ka27 a rotori controrotanti: caratteristica tipica della Kamov che consente di eliminare il classico rotore di coda



FINE



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