I. Introduzione
In un articolo pubblicato su questo blog poche settimane fa, avevo esaminato la possibilità, concreta, entro i prossimi anni, di un attacco russo limitato al controllo del Gap di Suwalki, da chiudersi in pochi giorni, prima di una risposta collettiva NATO innescata dall'Art. 5.
In un altro articolo esprimevo invece i miei dubbi sulla fattualità dell'Art. 5 e sulla non-remota possibilità che potesse invece essere interpretato cavillosamente da alcuni partner dell'Alleanza, in modo da evitare l'impiego sul campo di truppe combattenti in un contesto di aggressione russa a qualche membro della NATO: nella fattispecie i paesi baltici.
Il presupposto, per ambedue gli articoli era la volontà di Mosca di testare la solidità dell'Occidente mediante un'azione altamente remunerativa, rapida e limitata, capace però di mettere in crisi la tenuta politica dell'Alleanza Atlantica prima ancora che ne venisse messa alla prova la solidità militare.
Un attacco contro i paesi baltici ed in particolare la Lituania avrebbe tali caratteristiche: garantirebbe a Mosca il collegamento con l'oblast di Kaliningrad e porterebbe all'isolamento dei baltici; sarebbe sufficientemente rapida da concludersi prima di una significativa mobilitazione della NATO; e sarebbe limitata nello spazio e nei tempi al punto da dare modo ai più riluttanti partner dell'Alleanza di aggirare il principio di difesa collettiva sancito dall'Art. 5.
Il risultato di una manovra del genere perpetrata da Mosca in presenza di una superiorità militare russa limitata al solo scenario (quindi senza dover necessariamente attendere di una ricostruzione militare post-Ucraina) sarebbe politicamente disastroso per l'Occidente e causerebbe una perdita di credibilità da parte della NATO, tale da causarne verosimilmente il collasso politico.
Da parte russa significherebbe invece la perfetta applicazione del principio di correlazione delle forze, ottenendo il massimo risultato con il minimo delle forze: uno scenario slegato dagli equilibri militari effettivi tra i blocchi e che quindi avrebbe tempistiche difficilmente prevedibili dagli analisti occidentali. In altre parole la scelta del quando e dove colpire spetterebbe a Mosca con conseguente acquisizione dell'iniziativa strategica.
Lo scenario tattico più plausibile, all'interno di un quadro strategico di questo tipo è quindi il Gap di Suwalki, che proprio per questa ragione sta attraversando un processo di rafforzamento, con nuovi reparti sia polacchi che lituani e fortificazioni di confine da completarsi nel breve-medio periodo (si veda qui).
Suwalki però non è l'unica opzione, in quanto ne esiste almeno un'altra che potrebbe garantire significativi ritorni al Cremlino, sia in termini strategici in quanto bloccherebbe l'accesso al mare artico, sia politici perché sarebbe anche in questo caso un test probante sulla compattezza della NATO.
Parliamo dello Scenario Svalbard
II. Porta dell'Artico
Politicamente appartenenti alla Norvegia le isole Svalbard rivestono da sempre una elevata importanza strategica in quanto controllano l'accesso al Mare di Barents attraverso il cosiddetto Bear Gap, ossia il tratto di mare tra il Sørkapp, al vertice meridionale di Spitzbergen e la terraferma norvegese.
Questo passaggio, al suo interno suddiviso in due canali di circa eguale larghezza dalla disabitata Isola degli Orsi o Bjørnøja, rappresenta la rotta più diretta per accedere al bastione strategico russo di Kola nonché, viceversa, per permettere alla flotta russa del nord e relativi sottomarini nucleari, di uscire dal loro "santuario" di Barents-Kara e raggiungere il Mare di Norvegia. Non a caso, durante la WWII le isole furono contese tra Alleati e Tedeschi ed occupate saltuariamente dagli uni e dagli altri fino alla resa dell'ultimo presidio tedesco di una stazione radio-meteorologica nel settembre 1945.
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Il Bear Gap è la porta d'accesso ai santuari degli SSBN russi nel mare di Barents. La regione è considerata da Mosca fondamentale per la sicurezza nazionale |
Il Bear Gap rappresenta inoltre il terminale naturale occidentale della rotta commerciale subpolare North Sea Route (NSR) il cui sviluppo consentirebbe di unire l'Estremo Oriente con l'Europa evitando la circumnavigazione dell'Asia. A tale proposito la NSR è strategicamente prioritaria per Mosca, per il potenziale accesso di superpetroliere ai terminali di idrocarburi della costa siberiana: traffico tutt'ora limitato ma potenzialmente espandibile per via della ritirata dei ghiacci.
Non è un caso dunque, che negli ultimi anni Mosca abbia rafforzato sensibilmente i propri avamposti nell'Artico, attraverso la costruzione/rivitalizzazione di nuove e vecchie basi disseminate lungo la costa siberiana e negli arcipelaghi artici russi: una sorta di "filo di perle militare" che garantisce a Mosca importanti capacità di sea-denial sopra buona parte dell'Oceano Artico.
In particolare, dopo il semi-abbandono degli anni Novanta-Duemila, sono stati rimilitarizzati gli arcipelaghi della Nuova Zemlya, della Terra di Francesco Giuseppe e delle Isole della Nuova Siberia, con basi aeree, stazioni radar e sistemi missilistici A/A ed antinave. Il tutto a costituire un antemurale alla costa siberiana, alle risorse economiche ed alle sue installazioni militari strategiche.
Fuori dal controllo di Mosca rimane però il varco aperto delle Svalbard, unico arcipelago dell'artico eurasiatico a non fare parte del dispositivo strategico russo. C'è però una ragione: dal 1920 le Svalbard sono assoggettate ad un trattato internazionale, firmato anche da Mosca, che ne ha riconosciuta la sovranità norvegese in cambio della totale smilitarizzazione delle isole, ove non possono essere installate basi militari permanenti.
Il trattato del 1920 tuttavia, riconosce a Oslo il diritto di proteggere le isole, ragione per la quale una fregata della Marina Militare norvegese mostra bandiera un paio di volte all'anno a Longyearbyen, mentre la presenza della Guardia Costiera è rappresentata dai pattugliamenti di un rompighiaccio d'altura. Altresì, dal 1951 le isole sono incluse nell'area difensiva della NATO mentre più recentemente l'Estremo Nord è stato per la prima volta menzionato come parte del Concetto Strategico NATO nel giugno 2022, pochi mesi dopo il tranciamento (gennaio 2022) del cavo sottomarino di collegamento tra Longyearbyen e la terraferma norvegese. Da notare come il cavo sia stato tranciato in prossimità di una rotta abitualmente frequentata da pescherecci russi e dalle loro reti a strascico.
A parte questa presenza simbolica, volta a ribadire la sovranità norvegese sulle isole, le Svalbard non rappresentano, al di là della loro naturale posizione strategica, alcun pericolo fattuale nei confronti di Mosca.
Nonostante ciò, nel corso del tempo vi sono stati periodi di tensione tra Russia e Norvegia, soprattutto in merito all'interpretazione del Trattato 1920 relativamente alle questioni economiche legate alle acque territoriali, ZEE e piattaforma continentale, non disgiunte da presunti antichi diritti risalenti ai cacciatori Pomory del XVI° Secolo da poco riemersi nella narrativa ultranazionalista russa. In altre parole pretesti, che Mosca ha utilizzato per innalzare lo stato di tensione: come il 14 marzo 2025, con la convocazione al ministero degli esteri russo dell'ambasciatore norvegese, cui è stata consegnata una nota di protesta circa una presunta "militarizzazione" delle Svalbard in "violazione" al trattato del 1920, con riserva del "diritto di agire" per ripristinarne i termini.
Nel tipico stile del Cremlino, vere e proprie provocazioni sono state poi messe in atto negli ultimi anni: ad esempio nel giugno 2024, con l'innalzamento presso Barentsburg, seconda cittadina delle Svalbard abitata da una piccola comunità di minatori russi, di una grande bandiera sovietica con falce e martello; oppure l'erezione non autorizzata da Oslo, di una imponente croce ortodossa addobbata del nastro di San Giorgio, nella cittadina mineraria disabitata di Pyramiden nell'agosto 2023, da parte del vescovo oltranzista Iyakov, fedelissimo di Kyril e sostenitore dell'invasione dell'Ucraina. Una esibizione palesemente propagandistica che punta a "marcare il territorio" indebolendo la sovranità norvegese sull'arcipelago e contestualmente ribadendo la narrativa di un Artico facente parte del "Mondo Russo".
Ancor più di recente, un violento attacco verbale del Ministero degli Esteri russo ha rilanciato contro Oslo l'intero armamentario della propaganda aggressiva del Cremlino, questa volta prendendo a pretesto la visita alle Svalbard del principe ereditario Haakon (14 agosto) ed accusando la Norvegia di "discriminazione anti-russa", "militarizzazione" e "violazione del Trattato delle Svalbard" a "detrimento degli interessi russi": praticamente il refrain già utilizzato da Mosca contro l'Ucraina ed in varie altre occasioni e che già era stato rispolverato da Nikolai Patrushev nel marzo scorso.
Ma quali sarebbero questi "interessi" rivendicati da Mosca?
Il Trattato 1920 riconosce ai 46 paesi firmatari la possibilità di sfruttamento paritetico delle risorse delle Svalbard nel rispetto delle leggi norvegesi. In realtà di questi 46 paesi l'unico ad avere attivamente sfruttato tale opportunità è stata l'URSS prima e la Russia dopo, attraverso una miniera di carbone attorno alla quale è sorta nel tempo la cittadina mineraria di Barentsburg, abitata quasi esclusivamente da minatori russi e poi in parte svuotatasi a causa del declino del carbone negli ultimi decenni.
La presenza russa alle Svalbard è tuttavia stata mantenuta per evidenti ragioni politiche ed in tempi recenti la compagnia mineraria statale russa Arktikugol che dai tempi sovietici ha in gestione le attività economiche russe mell'arcipelago, ha avviato una linea commerciale navale tra Murmansk e Longyearbyen a mezzo della quale turisti russi possono approdare alle Svalbard ovvero in area Schengen, senza dover richiedere un visto d'ingresso norvegese. Nel giugno scorso uno di tali tour "turistici" ha riportato a Longyearbyen il vescovo Iyakov, il quale si è poi esibito in uno dei suoi soliti show propagandistici.
Tutto questo insieme di provocazioni e minacce ricorda le operazioni ibride perpetrate dalla Russia in Crimea nel 2014, compreso il ruolo della Chiesa ortodossa e l'afflusso di ultranazionalisti camuffati da turisti. Operazioni che alle Svalbard sono state avviate da prima dell'invasione dell'Ucraina ed in effetti classificate come ibride dagli analisti.
Dopodiché, se fino al 2021 le possibilità di un colpo di mano militare russo contro le Svalbard apparivano oggettivamente scarse, per via dell'interesse di Mosca nel mantenere lo status-quo del profondo nord in correlazione ai vantaggi economici e commerciali derivati dai rapporti con l'Occidente, da dopo l'invasione dell'Ucraina e l'azzeramento delle relazioni con l'Europa la prospettiva, nell'ottica di Mosca, potrebbe essere cambiata drasticamente.
III. Un nuovo scenario
Il caos geopolitico innescato da Mosca con l'invasione dell'Ucraina ed il possibile venire meno degli automatismi dell'Art. 5 NATO causato dall'elezione di Trump e dalla presenza nella stessa NATO di corpi estranei legati a Mosca come Ungheria e Slovacchia, potrebbe indurre il Cremlino a riconsiderare la correlazione delle forze alla luce di queste nuove dinamiche.
Da qui la possibilità che possa ritenere conveniente mettere alla prova la coesione della NATO innescando scenari ad elevata proficuità per sé e fortemente destabilizzanti per l'Occidente.
Uno Scenario Svalbard potrebbe quindi essere una alternativa "economica" a quello di Suwalki, a maggior ragione se dovesse continuare, come probabile, il rafforzamento del dispositivo NATO nel Baltico ed in Polonia ed il bilancio della correlazione delle forze dovesse pertanto risultare meno favorevole per Mosca.
In un contesto del genere gli strateghi del Cremlino potrebbero essere tentati da un approccio laterale, in grado cioè di trovare soluzioni alternativa agli schemi tradizionali logici, che particolarmente in ambito militare sono sempre piuttosto difficili da superare. La stessa guerra ibrida, nella sua natura fluida e multispettrale è un esempio riuscito di approccio laterale ad un problema strategico complicato: vincere in condizioni di inferiorità complessiva utilizzando a proprio vantaggio le debolezze del nemico prima ancora dei propri punti di forza.
Da qui la possibilità che la Russia rinunci all'idea di affrontare la NATO là dove la NATO più se lo aspetta e scelga invece una alternativa meno rischiosa rispetto a Suwalki ma potenzialmente in grado di produrre una concatenazione di eventi causa-effetto altamente destabilizzanti.
Vediamo quindi quali sono i vantaggi nella scelta di uno Scenario Svalbard, che con un volo di fantasia potrebbe essere denominata Operatsiya Pomory.
1. Nessuna opposizione. A differenza di Suwalki, le Svalbard sono totalmente indifese. Non esiste alcuna forza in grado di opporsi ad una task-force d'invasione ben bilanciata ed appoggiata da assetti aeronavali. L'occupazione dell'isola principale di Spitzbergen potrebbe essere completata in 24-48h senza incontrare resistenza e mettendo Norvegia, NATO ed Occidente davanti al fatto compiuto nell'arco di un weekend.
2. Sorpresa strategica. Lo Scenario Suwalki passa inevitabilmente attraverso la piena ed aperta collaborazione della Bielorussia, sul cui territorio dovrebbero installarsi le forze russe di invasione, sia pure sotto la copertura di una esercitazione, quale ad esempio una delle prossime Zapad. Nondimeno, l'ammassamento di cospicue forze blindo-corazzate russe in prossimità del confine lituano non passerebbe inosservato alle intelligence occidentali e suonerebbe come un campanello d'allarme che la NATO potrebbe sfruttare. Viceversa uno Scenario Svalbard non implicherebbe da parte russa che minimi preparativi facilmente occultabili nonché un dispiegamento di forze decisamente più ridotto rispetto ad uno Scenario Suwalki, con conseguente sorpresa strategica quasi certamente garantita.
3. Fatto compiuto. L'attacco potrebbe avvenire in tre rapide fasi e sarebbe portato direttamente dalle basi russe:
🔹una prima fase aeromobile con attacco eliportato da parte di un paio di centinaia di Spetsnaz-GRU o parà su Mil Mi 28 con serbatoi supplementari decollati dalla base di Nagurskoye, nella Terra di Francesco Giuseppe, a 700 km da Longyearbyen (2,40h di volo). Questo gruppo avrebbe il compito, all'Ora Zero (hZ) di impossessarsi dell'aeroporto, della adiacente stazione satellitare SvalSat (si veda oltre) e della centrale elettrica, occupare la capitale, arrestare il governatore, neutralizzare la piccola polizia locale e prendere contatti con la comunità russa di Barentsburg. Del gruppo farebbero parte agenti FSB, incaricati di porre sotto controllo scienziati e ricercatori, in particolare quelli dipendenti da SvalSat ed eventualmente reprimere qualsiasi opposizione, nonché monitorare possibili infiltrazioni di SF NATO. Questa ondata d'attacco, sarebbe seguita da una seconda ondata da trasporto su Il-76. L'aeroporto di Longyearbyen con la sua pista di 2,5 km messa in sicurezza dagli spetsnaz si presterebbe ad accogliere i grossi Il-76 carichi di componenti per una batteria A/A Pantsir da rendere immediatamente operativa a protezione della forza d'attacco. Nelle successive 24h (Z+24) la forza d'attacco verrebbe raggiunta da una forza navale anfibia.
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L'aeroporto di Longyearbyen sarebbe il primo obiettivo di una invasione russa |
Questa prima fase sarebbe stata preceduta di alcuni giorni dal preposizionamento dei due sottomarini SSN Yasen in forza alla Flotta del Nord in un'area di mare compresa tra l'Islanda, l'isola di Jan Mayen e la costa norvegese, ovvero in posizione tale da poter battere le basi degli F-35 della Luftforsvaret di Ørland, Evenes e Rygge ed eventualmente quella degli SSBN britannici di Faslane, in Scozia.
🔹Una seconda fase navale, con arrivo entro 24h (Z+24) a Longyearbyen di una forza anfibia strutturata attorno alla Ivan Gren e ad un paio di Ropucha, sufficienti a trasportare una parte della 80a Brigata Artica di Alakurrti, presso Pechenga, attualmente dissanguata in Ucraina, ma che in previsione verrebbe richiamata e ricostruita. Il suo ruolo sarebbe quello di formare il presidio delle isole e completare una bolla difensiva A2/AD attorno all'arcipelago, mediante l'installazione di difese missilistiche antiaeree ed antinave, nella fattispecie batterie Pantsir e Bastion/P, oltre ad un radar Sopka-2, necessario per estendere la bolla A2/AD fino ad un raggio di 450 km ad ovest delle Svalbard. Questo genere di attività, per le quali sarebbero necessari ulteriori trasbordi navali da Murmansk, potrebbero essere portate a termine in pochi giorni e la bolla resa operativa in meno di una settimana. Per garantire il proprio arrivo a Longyearbyen entro Z+24, la forza da sbarco dovrebbe trovarsi all'Ora Zero in navigazione addestrativa simulata nel Mare di Barents, circa 600 km a N-O di Rogachevo, nella Nuova Zemlya.
🔹Contemporaneamente allo sbarco anfibio, il resto della Flotta del Nord verrebbe fatto salpare dalle proprie basi di Kola e schierato entro Z+48 in posizione di blocco ad ovest del Bear Gap ed a metà strada dal GIUK Gap, pronta ad intervenire contro eventuali forze navali NATO che tentassero di forzare il blocco. Allo stesso tempo, squadroni di bombardieri Bear equipaggiati con missili antinave verrebbero messi in preallarme ed alcuni tenuti in volo di pattugliamento circolare sulla verticale della flotta. Lo spazio aereo NATO sopra Norvegia continentale, Islanda e Groenlandia non verrebbe violato ma solo sfiorato con intento chiaramente intimidatorio. La base aerea russa di Olenya (Olenogorsk-1) presso Murmansk sarebbe perfettamente idonea per supportare le missioni dei bombardieri antinave, mentre quella di Severomorsk-1 per l'appoggio alle operazioni dei cargo da trasporto (Il 76), degli aerei ed elicotteri antisom (Il 38 e Ka 27) dei ricognitori navali (Tu 142) e dei caccia da superiorità aerea (Su 33).
Queste tre fasi operative si svolgerebbero in sequenza sincronizzata ed in parte sovrapposta, in modo d rendersi pienamente operative entro le prime 48h.
Ovviamente, tutte queste manovre non passerebbero inosservate. Il decollo della prima ondata d'attacco da Nagurskoye (hZ-03) verrebbe infatti individuato quasi immediatamente e seguito passo-passo dal radar OTH norvegese di Vardø che quindi metterebbe in allarme gli F-35 di Evenes. Tuttavia le intenzioni russe (dissimulate da esercitazione aeronavale) non potrebbero essere disvelate con certezza fino alla effettiva violazione dello spazio aereo delle Svalbard (hZ-00,30) ed a quel punto rimarrebbero solo pochi minuti alle autorità norvegesi per prendere la difficile decisione politico-militare di inviare gli F-35 ad intercettare ed abbattere i Mi 28 da trasporto e relativi caccia di scorta. Vi sarebbe quindi il rischio, assai concreto, del fatto compiuto prima che da Oslo arrivi luce verde politica a qualsiasi reazione militare norvegese.
4. Azione Limitata. Ad occupazione avvenuta, il Cremlino potrebbe dichiarare il "Mission Accomplished" dando assicurazioni alla NATO di non voler intraprendere alcuna altra operazione offensiva, salvo minacciare rappresaglie apocalittiche qualora il blocco delle Svalbard venisse violato o se il territorio russo fosse colpito.
Vista l'area operativa remota e le minori conseguenze geopolitiche immediate rispetto ad uno Scenario Suwalky, parte della NATO e dell'Occidente (USA, Ungheria, Slovacchia, Italia, Spagna, Grecia...) potrebbe persuadersi a non reagire militarmente ("morire per le Svalbard?"), non ottemperando all'Art.5 e lasciando quindi sola la Norvegia, i paesi balto-scandinavi e probabilmente UK e Canada.
A quel punto la credibilità della NATO finirebbe sbriciolata e si aprirebbe una insanabile spaccatura tra gli alleati con potenziali conseguenze imprevedibili e ricadute anche sulla UE. Anche in questo caso, il risultato per Mosca sarebbe un poderoso vantaggio strategico-politico ad un costo in termini di rischio decisamente inferiore rispetto a Suwalki.
5. Disponibilità delle forze. Una campagna militare che punti alla liberazione delle Svalbard potrebbe essere estremamente complicata per una NATO priva del supporto americano, a causa della scarsità di naviglio idoneo a condurre una vera e propria battaglia aeronavale nel Nord Atlantico - Mare di Norvegia contro una Flotta del Nord che, per quanto ridimensionata rispetto al periodo d'oro sovietico, rimane pur sempre dotata di notevoli capacità d'attacco soprattutto missilistiche. La vasta disponibilità e dispersione delle basi aeronavali tra la penisola di Kola, la Nuova Zemlya e la regione di Arcangelo offre a Mosca numerose alternative strategiche anche in caso di neutralizzazione di una o più di esse, con conseguente garanzia di poter infliggere gravi perdite alle forze NATO. Rispetto a Suwalki, dove le forze russe sarebbero molto più concentrare e quindi vulnerabili entro spazi dimensionalmente ridotti, uno Scenario Svalbard coprirebbe un'area di oltre 2m di Km², sovente afflitta a da condizioni meteo-marine avverse. C'è quindi il rischio che la Marina Militare britannica, supportata da modesti apporti norvegesi, canadesi, tedeschi e forse da una squadra francese, non sia in grado di sostenere il peso delle operazioni. Rispetto a Suwalki, dove diversi paesi NATO (Polonia, Svezia, Finlandia, Germania, lo stesso UK...), sarebbero in grado di aggiungere reparti solidi alle forze multinazionali preposizionate nel Baltico (NATO EFP), una campagna aeronavale nel grande nord senza il supporto della 6a Flotta USA sarebbe quasi proibitiva.
6. Scarso impatto mediatico internazionale. Una operazione limitata nel grande nord avrebbe scarso impatto mediatico al di fuori dell'Europa. La Cina, che ha impiantato alle Svalbard una stazione di ricerca asseritamente scientifica (in realtà dual-use) sollevando dubbi e creando frizioni con le autorità norvegesi, potrebbe vedere di buon occhio una occupazione russa delle isole, con cui verrebbe di fatto sigillata completamente la NSR ed interdetta ogni attività militare occidentale nell'immenso spazio artico tra le Svalbard e Bering. Per Pechino l'apertura di una Polar Silk Road ed uno sfruttamento in condominio con Mosca delle risorse artiche sarebbe garanzia di investimenti nell'economia russa e certezza di sostanziosi ritorni.
Analogamente, una amministrazione USA di impronta MAGA potrebbe essere blandita da un patto di non-interferenza russo verso una eventuale "questione groenlandese" che dovesse riemergere tra le macerie geopolitiche dello scacchiere artico lasciate dall'Operazione Pomory. Un patto del genere sarebbe il degno coronamento degli abboccamenti tra Washington e Mosca cominciati già ai tempi della prima amministrazione Trump, che avevano visto il negoziatore di Putin, Kirill Dimitriyev tentare l'intrigo con l'allora Segretario di Stato Rex Tillerson attorno ad una sorta di accordo di spartizione delle rispettive aree di influenza nell'Artico, poi recentemente rilanciato (marzo 2025) dallo stesso Dimitriev. Da notare come Dimitriev abbia fatto parte dello staff che ha accompagnato Putin al vertice in Alaska con Trump del 15 agosto scorso.
D tutto ciò ne deriva che un colpo di mano russo contro le Svalbard potrebbe essere percepito dalla comunità internazionale extra-europea come una questione locale di secondaria importanza, di certo inferiore ad una invasione di Suwalki. Questo anche a causa del blocco ai mezzi di comunicazione che Mosca imporrebbe attorno all'intera operazione, già di per sé logisticamente ardua da monitorare da parte dei media non-embedded e che verrebbe quindi coperta quasi unicamente dalla propaganda russa di regime.
7. Sfruttamento economico. L'occupazione delle Svalbard garantirebbe a Mosca lo sfruttamento selvaggio delle risorse e del fragile ambiente locale, finora tutelato dalle severe leggi norvegesi. Potrebbero ad esempio essere avviate massive prospezioni minerarie, in aree della piattaforma continentale delle Svalbard potenzialmente ricche di petrolio e gas naturale ed oggi soggetta a restrizioni, con conseguenti danni ambientali prodotti dalla tipica noncuranza in questo ambito, sovietica prima e russa dopo.
8. Interferenza satellitare. Presso l'aeroporto di Longyearbyen si trova il già citato SvalSat, vale a dire il centro di comunicazione satellitare delle Svalbard gestito da Kongsberg Satellite Services (KSAT) ed in grado di fungere da gateway per oltre 300 satelliti civili in orbita bassa (LEO), inclusi quelli per osservazione terrestre, comunicazioni, navigazione e missioni scientifiche. Tra questi vi sono Copernicus e Sentinel dell'ESA, Landsat della NASA e costellazioni commerciali come Planet o ICEYE. Complessivamente SvalSat gestisce il 40-50% del traffico downlink globale per satelliti LEO.
È del tutto plausibile quindi che una volta sbarcati i russi prendano il controllo di SvalSat, utilizzandolo poi come arma di pressione contro l'Occidente: potrebbero ad esempio spegnere le antenne bloccando l'afflusso dei dati, con danni finanziari gravissimi a settori come agricoltura (irrigazione basata su satelliti), shipping (navigazione) e media (trasmissione TV via satellite). Oppure potrebbero tentare di accedere ai server di SvalSat, estorcendo con la forza ai dipendenti le credenziali di accesso allo scopo di alterare i comandi uplink, variando l'assetto del satellite e inserendosi nel downlink prima che le varie authority (ESA, KSAT, NSM, CISA) riescano a mettere SvalSat in quarantena disconnettendola e spostando i satelliti su altre stazioni analoghe, come TrollSat, in Antartide e PokerFlat in Alaska. Inserendosi nei server, potrebbero anche cancellare petabyte di dati o anche minacciare la distruzione fisica degli impianti in caso di reazione: ovvero scenari paragonabili al tranciamento di cavi sottomarini e perfettamente configurabili in uno scenario ibrido stile Crimea
È bene ricordare come Mosca abbia più volte accusato Oslo di utilizzare SvalSat per scopi militari in violazione al trattato del 1920: accusa sempre respinta dal governo norvegese, ma che al di là dei pretesti, suona (o dovrebbe suonare) come campanello d'allarme.
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Panoramica del Platåberget, l'altopiano sovrastante l'aeroporto di Longyearbyen, sede di SvalSat. Si noti il centinaio di radome bianchi, ciascuno contenente un'antenna collegata ad uno o più satelliti. La concessione rilasciata a KSAT, proibisce espressamente la connessione con satelliti militari. |
IV. Conclusioni
Se oggi come allora vi fosse la certezza dell'automatismo dell'Articolo 5 NATO e relativo coinvolgimento degli USA nella risposta, tutto quanto scritto finora rappresenterebbe niente altro che uno scenario teorico del tutto improbabile. Con una NATO militarmente compatta e politicamente coesa non esisterebbe infatti alcuna possibilità per un simile azzardo da parte di Mosca né vi sarebbe lo spazio politico per ipotizzare una disgregazione dell'Alleanza Atlantica e tantomenor una sola probabilità militare che un azzardo del genere da parte russa non venisse duramente respinto e punito.
Purtroppo però i tempi di oggi non sono i tempi di ieri e non vi è quindi alcuna certezza di una univoca e massiccia risposta della NATO ad una aggressione di questo genere volutamente limitata nel tempo e negli spazi proprio per testarne la solidità e quindi approfittare di eventuali defaillance politiche.
Una probabile più ancora che possibile inazione di una parte dell'Alleanza ad un azzardo russo sulle Svalbard equivarrebbe ad una dichiarazione di impotenza, con conseguenze politiche catastrofiche e verosimile fine della NATO così come l'abbiamo conosciuta finora. Ragione per la quale occorre fin da subito rispondere ad una minaccia di questo tipo sulla base del nuovo concetto NATO di deterrence by denial, ovvero la prospettiva di rendere non-conveniente al nemico qualsiasi opzione aggressiva: che nel caso della Russia significa azzerare o quasi la correlazione delle forze
Per ottenere questo risultato è quindi necessario annullare le vulnerabilità del settore Svalbard creando solide capacità dissuasive e di reazione nonché dimostrando la volontà politica di frapporle ad ogni eventuale minaccia da parte di Mosca.
Negli ultimi tempi in effetti qualcosa si è mosso. Il governo norvegese, ad esempio, ha deciso l'ammodernamento della piccola stazione militare di Jan Mayen ed ha dato luce verde alla riapertura di due basi militari della Guerra Fredda: quella aerea di Bardufoss, dotata di hangar in caverna e quella di Olavsvern scavata nella roccia di un fiordo presso Tromsø. È inoltre in attivazione, vicino a Bodø il nuovo NATO CAOC, vale a dire un comando aeronautico in grado di coordinare le attività aeree alleate sopra l'intera penisola scandinava, mentre dal 2029 è previsto l'ingresso in servizio nella marina norvegese, di tutto sei nuovi performanti sottomarini lanciamissili Type 212CD, in grado di ingaggiare bersagli terrestri e navali.
A parere di chi scrive occorre tuttavia fare di più. Ad esempio attivare un battaglione NATO di risposta rapida (NORDBAT) da dispiegarsi permanentemente nella Norvegia settentrionale, mobilitabile con brevissimo preavviso: in altre parole qualcosa di simile ai NATO EFP presenti nel Baltico ed a breve anche in Finlandia, ma con specializzazione artica. Eventualmente, qualora fosse ritenuto politicamente preferibile, il NORDBAT potrebbe essere formato interamente da reparti dei quattro paesi scandinavi come parte di una NATO Nordic Brigade da dispiegarsi a nord del Circolo Polare Artico, con basi nel Finnmark norvegese e nella Lapponia finno-svedese. Il NORDBAT dovrebbe essere rapidamente proiettabile su allarme con mezzi aerei e navali ed essere in grado di operare in condimeteo estreme.
Andrebbe altresì resa permanente la presenza di una sezione di aerei Awacs E3-A nella base norvegese di Ørland, attualmente limitata unicamente ad una saltuaria FOL (Forward Operating Location), in modo da garantire una copertura 24/7, utile anche a trasmettere a Mosca un segnale dissuasivo importante. La sezione andrebbe connessa al radar OHT di Vardø, alle basi degli F-35, ai comandi aerei svedese e finlandese oltre ovviamente al nuovo NATO CAOC (Combined Air Operation Centre) di Bodø, la cui entrata in operatività è prevista entro la fine del 2025
Un gruppo elicotteri dovrebbe essere tenuto a disposizione del NORDBAT su allarme ed allo scopo sarebbero idonei i Seahawk recentemente acquistati dalla Norvegia e potenzialmente utilizzabili sia in ruoli ASW che ASUW.
Andrebbe poi attivata una componente navale composita, specificatamente orientata all'estremo nord, magari come distaccamento artico permanente dello Standing NATO Response Force Maritime Group 1 (SNMG1), il cui nucleo potrebbe essere rappresentato da un paio di fregate a rotazione (una britannica ed una tedesca) e dai tre nuovi pattugliatori classe Jan Mayen della Guardia Costiera norvegese: battelli di dimensioni paragonabili ad una fregata, ma che andrebbero dotati di armamento missilistico A/A ed anti-nave. Quale base potrebbe essere scelta quella di Ramsund, oltretutto assai vicina all'aeroporto militare di Evenes, sede distaccata degli F-35. Il gruppo navale dovrebbe disporre di capacità di trasporto anfibio pari ad almeno una compagnia artica rinforzata. Tale capacità, che attualmente è inesaudibile, potrebbe essere espressa distaccando a rotazione, presso il gruppo navale, una delle sei LSM polacche classe Lublin.
Tutte queste forze dovrebbero svolgere esercitazioni regolari nel grande nord, comprese operazioni di sbarco costiero, aviosbarco, guerra artica e crociere di pattugliamento fino alle Svalbard e nel mare di Barents, sotto la scorta di pattugliatori aerei navali ed elicotteri antisom. Il tutto a dimostrare in primis una credibile deterrenza e nel caso questa fallisse, anche una solida capacità di risposta: che poi è l'unico linguaggio che Mosca comprende.
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