Introduzione
Una delle colonne portanti della propaganda putinista dell’ultimo decennio riguarda l’allargamento della NATO ai paesi dell’est in asserita espansione che sarebbe stato stipulato con Mosca nel 1990, propedeutico alla riunificazione tedesca.
Si tratta di una narrativa distorta, basata su una abile mescolanza di elementi situazionali ed interpretazioni speciose che proveremo a decostruire.
Sgombriamo per prima cosa il campo dalle false asserzioni e stratificazioni propagandistiche accumulate nel corso degli anni, partendo con un primo dato di fatto: non esiste alcun accordo formale e giuridicamente vincolante tra Mosca e le controparti occidentali che impegni queste ultime a non allargare ad est i confini della NATO.
Sotto questo punto di vista è quindi totalmente falso ciò che Putin va ripetendo da anni, relativamente ad un presunto tradimento degli impegni a suo tempo assunti dall’Occidente nei confronti dell’Unione Sovietica.
Su cosa si basa quindi la narrativa russa?
Si basa su una serie di rassicurazioni verbali e ammiccamenti informali rilasciati a Gorbachev dai leaders occidentali nelle more dei negoziati Two plus Four che portarono alla riunificazione tedesca del 3/10/1990 ed anche nei 12 mesi successivi, antecedenti la caduta dell’URSS. Assicurazioni che riguardavano essenzialmente il territorio della DDR, come lo stesso Gorbachev avrebbe ammesso in una intervista nel 2014, ma che da anni vengono manipolate dalla propaganda di Putin.
In altre parole, partendo da alcuni elementi accertati, la narrativa di Mosca ha prodotto, su questa vicenda, una serie di interpretazioni extrastoriche, unilaterali e strumentali di atti ed eventi, secondo la tattica manipolatrice che abbiamo visto ancora recentemente all’opera in Crimea e Donbas e che tiene conto solo degli elementi favorevoli escludendo tutti quelli a sfavore.
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La riunificazione tedesca avvenne per annessione della Germania Orientale da parte di quella Occidentale |
L’intera questione ruota attorno ad alcune affermazioni relative alla tutela degli interessi dell’URSS, rilasciate individualmente ed in tempi diversi a Gorbachev ed al suo entourage tra il 1990 ed il 1991 da Baker, Bush, Genscher, Kohl, Gates, Mitterrand, Thatcher, Hurd, Major e Woerner: compresa la nota assicurazione di James Baker “nemmeno un centimetro verso est” del 9 febbraio 1990.
Le ragioni che avevano portato i leader occidentali a fornire assicurazioni al Cremlino, ma senza che venisse concordato alcun documento formale e vincolante, erano legate alla situazione contingente che stavano affrontando, innescata dalla caduta del Muro.
Oggetto del contendere di questo scenario era la riunificazione tedesca, da attuarsi inevitabilmente attraverso un accordo con Mosca ed all’interno di un quadro che prevedeva la coesistenza delle due alleanze: NATO e Patto di Varsavia. Sotto questo punto di vista il nocciolo della questione era il futuro status della Germania riunificata (dentro o fuori la NATO?) nonché, all’interno della stessa Germania, l’assetto dei Länder della ex-DDR che Mosca chiedeva fossero smilitarizzati ed esclusi dal dispiegamento di strutture NATO per via della presenza di un massiccio contingente sovietico, per il cui ritiro erano necessari alcuni anni.
In tale contesto lo status degli altri paesi del Patto di Varsavia non era in discussione in quanto veniva data per scontata la loro permanenza nella sfera militare di Mosca, sia pure all’interno di rapporti ridisegnati in positivo e di crescente distensione tra i due blocchi.
In sostanza lo status-quo era ritenuto inamovibile tanto che né Kohl né lo stesso Gorbachev, come confermato da lui stesso, si erano immaginati un rapido collasso del Patto di Varsavia.
Vi erano oltretutto dei fatti oggettivi: tra questi la consapevolezza che nei colloqui con Mosca né gli Stati Uniti né la Germania avrebbero potuto assumersi impegni precisi a nome dell’intera NATO relativamente a quei paesi che, in via ipotetica, avrebbero potuto aspirare a farne parte: ragione per la quale in nessuno dei quattro incontri trilaterali USA-URSS-RFT venne firmato alcun documento che vincolasse la NATO alla non-espansione ad est, né Gorbachev ritenne di doverlo richiedere: non per ingenuità, ma perché in quel momento un allargamento ad est dell’Alleanza appariva del tutto irrealistico. (1)
Un secondo fatto oggettivo era l’impossibilità da parte NATO di aggregare paesi che sarebbero rimasti ancora a lungo presidiati da massicci contingenti sovietici, il cui rientro in patria era previsto venisse completato solo nel 1994 (2): cosa che di fatto avrebbe mantenuto sotto occupazione gli ex-satelliti, relegandone un eventuale cambio di campo al novero delle opzioni realizzabili solo con specifiche negoziazioni, come quelle che riguardavano la riunificazione tedesca e lo stazionamento concordato e temporalizzato delle truppe sovietiche nei Länder ex-DDR.
Vi erano poi i ragionamenti dei singoli paesi occidentali in merito alla riunificazione tedesca, che apertis verbis tutti plaudivano ma che in camera caritatis non tutti apprezzavano. (3)
Si ebbe così una curiosa convergenza di interessi:
🔹dei tedeschi, particolarmente ben disposti con Gorbachev per via del miraggio della riunificazione che si stava facendo realtà, ma anche per la ventennale Ostpolitik di Bonn verso Mosca, che via la perestrojka, sembrava aver trovato il proprio fine ultimo con la potenziale e prevedibile apertura del mercato sovietico all’economia tedesca;
🔹degli altri occidentali, con sfumature variamente aperturiste verso Mosca, ma tutti più o meno in sintonia con la necessità di ottenere rapidamente luce verde da Gorbachev ad una riunificazione tedesca nella NATO, quale preferibile alternativa ad una grande Germania neutralizzata ma in grado di trasformarsi in prospettiva in una potenza continentale libera dal guinzaglio dell’Alleanza Atlantica; (4)
🔹degli stessi sovietici che, perlomeno nell’entourage di Gorbachev, si erano rassegnati all’ineluttabilità storica di una riunificazione tedesca: ma che da questa cercavano di trarne il maggior vantaggio possibile nei tempi, nei modi e nelle risorse, anche in rapporto agli equilibri interni, ovvero di quella parte non insignificante dell’apparato che non si era invece rassegnato al declino.
Fu quindi facile per Genscher dichiarare, il 31/1/90 a Tutzing in Baviera, “che i cambiamenti nell’Europa orientale e il processo di unificazione tedesca non dovevano portare a una compromissione degli interessi di sicurezza sovietici”, ottenendo quindi l’assenso di Mosca alla riunificazione (10/2/90) anche in cambio di massicci finanziamenti, poi erogati principalmente da Bonn. (5)
Allo stesso modo fu facile per Baker, il 9/2/90, recitare con Gorbachev la formula “non un pollice verso est” riferita implicitamente al territorio DDR ed egualmente lo fu per gli altri leaders occidentali, nessuno dei quali intendeva compromettere l’architettura del Patto di Varsavia né tantomeno la stabilità dell’URSS. (6)
Forse più difficile ma di certo inevitabile fu il benestare di Gorbachev, oramai persuaso a seguire il percorso della Storia, come in seguito confermato da lui stesso: “sarebbe stato un grosso errore rimanere aggrappati alla cortina di ferro”.
Nell’estate 1990, con una Unione Sovietica ancora in pieno possesso (militare se non politico) del proprio perimetro di sicurezza e con gli ex-satelliti in fase di complicata transizione era dunque irrealistico immaginare una architettura europea diversa dallo status-quo, nonché anche solo elaborare con certezza di diritto una qualche forma di trattato in grado di tracciare e vincolare un futuro ancora inimmaginabile.
La questione si chiuse quindi, per non essere più riaperta, nell’agosto 1990 con una specie di implicita e reciproca concordanza sul mantenimento dello status-quo in Europa orientale, in funzione della imminente riunificazione tedesca, prevista per il 3/10/90 dopo la firma solenne a Mosca il 12/9/90 del Trattato per lo stato finale della Germania (TSFG) con il quale le quattro potenze vincitrici della WWII avevano archiviato definitivamente la “questione tedesca” nonché la stessa Guerra Fredda.
Vi erano però due potenziali punti deboli:
🔹la concordanza di interessi era dovuta a contingenze oggettive non decontestualizzabili, basate su presupposti piuttosto fragili ed incardinate più che altro alla buona volontà, ossia allo “spirito del trattato 2+4”, che ben difficilmente avrebbe potuto superare indenne le difficili prove che la Storia aveva in serbo per entrambe parti già nel breve periodo. Prima fra tutti la dissoluzione fattuale (3/91) e quindi formale (7/91) del Patto di Varsavia, che apriva a variabili inesplorate.
🔹Questa prima debolezza portava alla seconda, in quanto in nessun caso degli accordi verbali concordati in un contesto particolare avrebbero potuto avere la forza di un trattato formale e vincolante sul tipo di quelli che USA ed URSS avevano condiviso negli anni con tutti i crismi del Diritto internazionale: ultimo dei quali il trattato INF firmato a Washington da Reagan e Gorbachev il 08/12/87 e ratificato a Mosca l’1 giugno 1988. Questa seconda debolezza conteneva i presupposti di possibili future rivendicazioni e crisi.
L’architettura complessiva uscita dal 2+4 era quindi intrinsecamente precaria, ma lastricata di buone intenzioni (come il CSCE) e certamente condivisa da reciproci interessi convergenti, compresi i sostanziali risparmi cui avrebbero beneficiato le esauste casse sovietiche una volta liberate dal fardello del Patto di Varsavia e dal mantenimento dell’enorme apparato militare dispiegato nei paesi del blocco orientale. (7)
Pacta sunt servanda
L’intero meccanismo della riunificazione tedesca rimaneva dunque vincolato al fragile equilibrio raggiunto nell’agosto 1990, che i leaders occidentali cercarono di preservare nei mesi successivi, quando a partire dal febbraio 1991 alcuni paesi del blocco sovietico in uscita dal moribondo Patto di Varsavia (in primis Polonia e Ungheria) cominciarono a sondare la possibilità di un loro ingresso nella NATO, rendendo improvvisamente attuale ciò che solo sei mesi prima appariva del tutto improbabile: eventualità stoppata da Genscher, che in seguito ammise come quei paesi fossero “stati scoraggiati dal farlo in discussioni riservate.”
Analoga la posizione britannica rappresentata da John Major, che nel marzo 1991 confermò a Gorbachev la non-disponibilità della NATO ad ampliare i propri confini.
Quanto al governo americano, già il 22 ottobre 1990 su iniziativa del Dipartimento di Stato aveva confermato in un documento interno, come non fosse “nel miglior interesse della NATO o degli Stati Uniti che a questi stati venisse concessa la piena adesione alla NATO”. (8)
Per tutto il 1991 i leaders occidentali fecero quindi il necessario per mantenere con Mosca il gentlemen’s agreement dell’agosto 1990 e fu solo dopo il tentato golpe contro Gorbachev (19/8/91) ed il successivo collasso sovietico che vennero oggettivamente a mancare i presupposti minimi per continuare a considerare valide delle assicurazioni verbali rilasciate ad un leader oramai rimosso di un paese non più esistente.
Nonostante l’impegno anche finanziario degli occidentali l’Unione Sovietica era crollata sotto il peso della propria marcescenza strutturale, ammettendo di fatto la propria sconfitta nella Guerra Fredda con l’ammainabandiera del 31/12/1991. Ed anche alla Russia di Eltsin, come ad ogni altro paese sconfitto, il dopoguerra non poteva non imporre una cesura: a partire dal fatto che non vi era più alcuna ragione, da parte occidentale, per continuare a tenere bloccato il corso della Storia, in un contesto già superato dagli eventi e da cui era scomparsa anche una delle due parti in causa.
Per fare un paragone sarebbe stato come se gli Alleati nel 1950 avessero ritenuto di dover mantenere fede, con la Germania di Adenauer, ad un accordo informale stipulato nel 1936 con il Reich di Hitler.
Ciò nonostante l’ammissione nella NATO dei paesi del vecchio blocco sovietico fu rallentato per altri 8 anni, fino al 12 marzo 1999, quando dopo molte esitazioni e lo step intermedio del Partnership for Peace, cominciarono ad essere ammessi Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca.
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L'ammissione nella NATO dei paesi dell'est fu graduale e si concluse solo nel 2004 |
Ci volle poi fino al 2004 per assistere all’avanzamento definitivo che avrebbe portato dentro Romania, Bulgaria e Slovacchia oltre ai tre stati baltici con i quali, per la prima volta in Europa centrale, la NATO arrivava a toccare un breve tratto di confine russo lungo le frontiere di Estonia e Lettonia, oltretutto in un ambiente penalizzante per l’alleanza, privo di profondità strategica e potenzialmente a rischio di isolamento attraverso il gap di Suwalki: dunque un assetto meramente difensivo che non poteva rappresentare per Mosca alcun tipo di minaccia. (9)
Si realizzava così il timing di Kohl del 1991, quando predisse che sarebbero stati necessari almeno 10 anni prima di vedere i baltici nella NATO.
Dunque estrema prudenza da parte della NATO, tanto che le bombe nucleari USA B61 a doppia chiave sono tuttora trattenute nei loro siti originari in Europa occidentale, nonostante la disponibilità offerta dalla Polonia ad accoglierne una parte.
Da sottolineare anche, come in ossequio al TSFG che denuclearizza permanentemente il territorio della ex-DDR, le circa 20 B61 sotto custodia tedesca siano stoccate nel sito di Büchel a SO di Coblenza, ovvero in quella che era stata la Germania Occidentale. (10)
Una ulteriore clausola del TSFG riguardava poi la riduzione, dopo la riunificazione, delle forze armate tedesche uscite dalla fusione tra Bundesheer e NVA che al loro apice, a fine 1990 avevano raggiunto i 550.000 uomini.
Anche in questo caso le clausole del TSFG che prevedevano una riduzione a 370.000 e poi a 345.000 entro il 1994 furono non solo del tutto rispettate ma ampiamente superate, tanto che nel 2021 il personale totale delle FFAA tedesche non raggiungeva le 200.000 unità, con conseguente conferma della postura difensiva sul territorio europeo della Germania nello specifico ma anche della NATO più in generale, nonostante l’espansione territoriale che potrebbe indurre qualcuno a pensare il contrario.
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La riduzione delle FFAA tedesche 1990-2020 |
Analoghe, pesanti riduzioni, riguardarono tutte le altre nazioni dell’ex Patto di Varsavia passate alla NATO:
🔹Polonia da 350.000 a 200.000 (2023)
🔹Ungheria da 160.000 a 32.000 (2023)
🔹Cecoslovacchia da 201.000 (1987) a 28.000+20.000;
🔹Romania da 270.000 (1984) a 72.000 (2024);
🔹Bulgaria da 160.000 a 37.000 (2023)
Questi tagli erano compresi negli accordi del Trattato CFE firmato il 19/11/90 a Vienna che portarono ad equivalenti riduzioni da parte di Mosca ma dimostrano come non vi sia mai stata alcuna intenzione aggressiva da parte Occidentale nei confronti dell’Unione Sovietica prima e della Russia poi: tanto che le riduzioni proseguirono fino ad anni recenti nonostante i rapporti tra Mosca e le capitali occidentali non fossero più quelli costruttivi dei tempi del 2+4, ivi compreso il ritiro unilaterale russo dallo stesso trattato CFE nel 2015.
Anche questo, dunque, è un ulteriore elemento che disvela le menzogne di Putin circa un’aggravata minaccia strategica alla Russia a seguito dell’espansione ad est della NATO.
Alla prudenza strategica si univa il supporto materiale. Il “contratto di acquisizione” della DDR da parte della Germania Occidentale prevedeva infatti la corresponsione all’Unione Sovietica in varie forme di >40mld USD da parte tedesca nel periodo 1990-91, oltre alle spese di mantenimento delle truppe dell’Armata Rossa stimabili in circa 5mld/anno USD, dal 1992 e fino alla loro completa evacuazione, conclusasi nel 1994.
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L’impegno finanziario tedesco verso l’URSS nel 1990-91 |
Più modesto rispetto a quello tedesco il supporto USA, avviato a partire dalla fine del 1990 ma pur sempre quantificabile in oltre 4 mld/USD nel periodo 90-91, in buona parte sotto forma di crediti agricoli, cui si aggiungevano varie donazioni anche private in medicinali ed altre forniture d’emergenza.
Oltre a ciò nel 1991 gli USA misero a disposizione la prima tranche di 0,7mld/USD del programma Nunn-Lugar relativo allo smantellamento delle WMD.
Infine, il 15/12/90 2,4 mld/USD furono stanziati dagli altri paesi UE ed ulteriori 1,5 il 7/10/91. (11)
In sintesi tra i 1990 e la caduta dell’URSS oltre 50 mld/USD contribuirono a sostenere le asfittiche casse sovietiche ripagando in moneta quello che poteva essere considerato un sacrificio strategico di Mosca.
L’erogazione di tale mole di denaro ed in particolare la quota tedesca, che contribuì a sostenere l’URSS nel suo momento più critico favorendone una transizione più o meno ordinata, era collaterale agli accordi 2+4, ma nella litania di biasimi all’Occidente e di critiche alla NATO viene costantemente (ma non casualmente) ignorata dalla narrativa putinista: nulla di nuovo nel libro mastro perennemente a credito di Mosca, in cui ad esempio la retorica sulla Grande Guerra Patriottica regolarmente sorvola sul ruolo avuto dal programma lend-lease nella vittoria sovietica.
Alla luce di queste dinamiche dovrebbe essere quindi chiaro come l’accusa di “tradimento dei patti” continuamente reiterata all’Occidente dalla narrativa russa e dallo stesso Putin sia speciosa, distorta e manipolata, oltre che strumentale, soprattutto se la si confronta con il doppio standard che Mosca applica a sé stessa quando lo ritiene conveniente:
🔹ad esempio lamentandosi del mancato rispetto di un accordo verbale ed informale come quello di non-espansione NATO del 1990 ed allo stesso tempo invocando la mancata ratifica da parte della Duma di un accordo sottoscritto e formale come il Memorandum di Budapest del 1994, quale pretesto per rivendicarne l’invalidità e giustificarne così la violazione da parte della Russia;
🔹ad esempio pretendendo continuità del vincolo di validità delle strette di mano anche nel passaggio dal sistema statuale sovietico gorbacheviano a quello russo eltsiniano ed allo stesso tempo dichiarando conclusa la validità del Memorandum di Budapest dopo il passaggio dal governo di Yanukovich a quello di Poroshenko, che Mosca considera illegale e quindi, a suo dire, non più soggetto ai benefici del memorandum medesimo.
🔹ad esempio quando invoca speciosamente per il Donbas il principio di autodeterminazione dei popoli, non applicabile alle minoranze etniche coesistenti assieme ad altri in uno stato indipendente, ma lo nega quando i propri ex-satelliti rivendicano la libertà di scegliere nuove alleanze. (12)
Conclusioni
Quanto detto finora ci porta ad alcune considerazioni finali:
🔹1) non vi è stato alcun tradimento dei patti da parte occidentale, semplicemente perché non è mai esistito alcun accordo formale e vincolante da rispettare. In diritto internazionale contano i trattati sottoscritti e riconosciuti con tutti i formalismi che a volte neanche bastano a fare sì che vengano rispettati. Per questo gli accordi verbali non possono essere presi a modello se non nei retrobottega della politica.
🔹2) Tutti gli elementi accessori compresi nei trattati formali prodotti dal deal 2+4, quali il TSFG ed il CFE sono stati rispettati da parte occidentale: dai finanziamenti, alla riduzione delle forze militari, alla denuclearizzazione dei Länder ex-DDR.
🔹3) La stessa ammissione di nuovi membri nella NATO è avvenuta in tempi lunghissimi, quando le condizioni geopolitiche erano molto diverse rispetto a quelle costruttive del 1990, soprattutto durante il grande allargamento del 2004.
🔹4) È falso che l’avanzamento della NATO verso est abbia causato alla Russia un peggioramento delle proprie condizioni di sicurezza. L’inclusione dei paesi baltici ha semmai imposto all’Alleanza una nuova sfida strategica, ovvero la necessità di dover proteggere un nuovo quadrante estremamente complesso e vulnerabile.
Ciò che la NATO ha invece ottenuto è un oggettivo miglioramento della sicurezza dell’Europa Occidentale per via dell’allontanamento ad est di un eventuale fronte russo d’attacco, nonché una riduzione delle capacità offensive di Mosca, come ad esempio nel Baltico e nel Mar Nero
In sintesi, il danno per Mosca non riguarda la difesa ma la propria tradizionale postura offensiva e relative opzioni d’attacco.
🔹5) Mosca ha violato accordi ed impegni formali come il Memorandum di Budapest e i Protocolli di Minsk II, adducendo pretesti risibili ed interpretazioni speciose: non può quindi permettersi di dare lezioni di moralità, ovvero di diritti umani, civili e giuridici quelle volte che è qualcun altro a scegliere di ottenere per sé il proprio massimo vantaggio.
Note
(1) Gli incontri avvennero a Washington 2/2/90 (Baker, Genscher); Mosca 9/2/90 (Gorbachev, Baker); Mosca 10/2/90 (Gorbachev, Kohl); Camp David 24/2/90 (Bush, Baker, Kohl)
(2) il Patto di Varsavia si sciolse formalmente l’1/7/1991, mentre il ritiro delle truppe sovietiche fu graduale e prolungato: dall’Ungheria a partire dal marzo 1990 e si concluse nel giugno 1991; dalla Cecoslovacchia tra il 02/90 e 08/91; dalla Polonia dal 04/91 al 9/93; quello dalla ex DDR ebbe inizio nel 12/90 e venne completato solo nello 08/94.
(3) ricordiamo solo due celebri aforismi molto significativi. Il primo: “La NATO serve a tenere i russi fuori, gli americani dentro ed i tedeschi sotto” (Lord Ismay, primo segretario generale NATO). Il secondo: “Amo talmente tanto la Germania che ne preferivo due” (Giulio Andreotti).
(4) James Baker a Gorbachev: “Preferireste vedere una Germania unita al di fuori della NATO, indipendente e senza forze statunitensi o preferireste una Germania unificata legata alla NATO, con la garanzia che la giurisdizione della NATO non si sposterebbe di un centimetro verso est?”
(5) Nel solo biennio 1990/91 l’impegno finanziario tedesco verso l’URSS fu di 42,4mld USD, 10,9 dei quali relativi al mantenimento delle truppe sovietiche nella ex-DDR.
(6) Gli inglesi “riconoscono l’importanza di non fare nulla che possa pregiudicare gli interessi e la dignità sovietica” (Douglas Hurd, 11/4/90. Lo stesso Kohl giunse a dire che la dissoluzione dell’Unione Sovietica sarebbe stata una “catastrofe” e che chiunque spingesse per un risultato del genere fosse un “idiota”.
(7) Nel 1985 la spesa militare sovietica stimata aveva raggiunto il 21% del PIL rispetto al 17% del 1970. Nello stesso periodo quella USA era assestata sul 6,5%.
(8) All’interno dell’amministrazione USA ci erano percezioni diverse, come quella del DoD di Cheney e Wolfowitz, che invece consigliavano di “lasciare socchiusa” la porta della NATO.
(9) Per la NATO il principale vantaggio dell’ingresso dei baltici era l’allontanamento dagli stretti danesi della flotta russa, che veniva relegata nel collo di bottiglia di San Pietroburgo e nella vulnerabile enclave di Kaliningrad. Quindi un assetto difensivo che rafforzava il sea denial, riducendo in quell’area la proiezione di potenza di Mosca ma senza aumentare significativamente la vulnerabilità del territorio russo.
(10) Le B61, circa un 180, sono suddivise tra Belgio (Kleine Brogel), Germania (Büchel), Italia (Aviano e Ghedi), Paesi Bassi (Volkel) e Turchia (Incirlik).
(11) Nel periodo 1990-91 il governo USA mise a disposizione dell’URSS i segg. finanziamenti/crediti: 12/12/90 > 1,3mld/USD; 12/6/91 > 1,5mld/USD; 20/11/91 > 1,25mld/USD.
(12) Il principio di autodeterminazione dei popoli si applica a pochi casi specifici indicati dal Protocollo addizionale alla Convenzione di Ginevra del 1977 e nel Patto sui diritti civili e politici del 1996. (Altalex.com)