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giovedì 26 giugno 2025

Articolo 5 NATO. Quale valore alla nostra sicurezza?



Negli anni della Guerra Fredda l'Articolo 5 della NATO è sempre stato considerato sacro ed in effetti lo era, in una fase storica di valori atlantisti condivisi nonché contrapposti ad una minaccia (sovietica) riconosciuta da tutti.

Pertanto, fino al 1989 l'appello all'Art.5 equivaleva di fatto ad un impegno militare diretto da parte di tutti i membri dell'Alleanza, in quanto nessuno avrebbe pensato di interpretarlo pro domo propria. La solidarietà tra alleati era una certezza, nonché la colonna portante della deterrenza occidentale nei confronti di eventuali avventurismi sovietici. E così come il MAD garantiva a Mosca la distruzione nel caso di ricorso ad armi nucleari, così l'Art.5 assicurava la discesa in campo di tutti gli alleati. Deterrenza si sommava a deterrenza ed infatti pace fu per 50 anni.

Adesso le cose sono cambiate. I valori non sono condivisi e le percezioni divergono. Potete quindi stare certi che, qualora l'Art.5 venisse invocato, qualcuno si attaccherebbe all'interpretazione letterale del testo, che certamente obbliga all'assistenza all'aggredito ma non necessariamente attraverso l'intervento militare 

Ecco il nocciolo dell'Art.5:


"Le altre nazioni membri devono fornire assistenza al membro attaccato, utilizzando le azioni che ritengono necessarie, incluse quelle militari."


Quindi, l'Articolo 5 autorizza l'utilizzo della forza militare quale mezzo di supporto, ma non lo rende obbligatorio. C che è vincolate è l'assistenza al paese aggredito, NON l'impegno militare diretto. E per assistenza si possono intendere molte cose: finanziamenti, forniture di armi, munizioni e quant'altro, supporto tecnico, intelligence, assistenza medica, protezione civile ecc ecc.

In conclusione: in caso di attacco russo ai baltici (esempio) gli USA di Trump potrebbero decidere di assolvere ai loro obblighi verso l'articolo 5 semplicemente inviando medicine, carburanti, un po' di munizioni, qualche sistema a/c, tanta bella solidarietà, pacche sulle spalle ed un sontuoso dito medio relativamente all'impiego diretto di truppe e mezzi americani.

Questo è.

Ergo sintonizziamoci sul da farsi e sul farlo in fretta: perché l'Europa ha il culo coperto solo finché l'Ucraina reggerà.


martedì 24 giugno 2025

Nero su Verde. La presenza fascioleghista nel varesotto e dintorni

Parte Prima. Origini della specie


Cellina di Leggiuno. Un paese tranquillo del varesotto, con vista sul Lago Maggiore: di qua la sponda lombarda, di là la sponda piemontese oltre la quale, passata Verbania, ci si inerpica in quella dell'Ossola, la valle che nel settembre/ottobre 1944 fu cuore di una  repubblica partigiana temporalmente effimera ma di elevato valore politico.

Quasi di fronte a Cellina, sul lato piemontese subito a nord di Arona, si trova Meina, che nel settembre 1943 era stata teatro di un eccidio nazista perpetrato da elementi della divisione SS-Leibstandarte contro 57 ebrei rastrellati nella zona.

Da Cellina procedendo verso nord, dopo circa 5 km di lungolago si arriva a Laveno Mombello nei cui pressi di trova Ceresolo. Ceresolo è anche nota come "spiaggia dei tedeschi", mentre nella vicina Cerro, fin dal 1928 vi era un immobile con campo sportivo ad uso ricreativo intestato alla Deutsche Hilfsverein Mailand (DHVM), l'associazione tedesca di Milano che sul Lago Maggiore aveva squadre sportive ed organizzava eventi ludici. Dopo l'avvento di Hitler l'associazione, come ogni altra entità tedesca del tempo, ottempera alla Gleichschaltung e si allinea al regime. A Milano diviene un punto di contatto tra il consolato tedesco e le autorità prefettizie italiane.

Gli anni della guerra provocano la sostanziale liquefazione della DHVM, che tuttavia riprende forma già dai primi anni '50 con il nome di Deutscher Sportverein Mailand. Secondo la timeline compilata dalla stessa DSVM, i vecchi soci fanno gradualmente ritorno e l'associazione si trasforma in una specie di country club esclusivo, tutt'ora attivo.

Tra il 1963 ed il 1964, proveniente da Milano, si stabilisce definitivamente a Cellina di Leggiuno una certa famiglia Bickler formata dal padre Hermann, dalla madre Ruth e da diversi figli tra cui Dietrich, che ritroveremo più avanti.

Ma chi era veramente Hermann Bickler?

Hermann Bickler è stato un gerarca nazista di medio livello, originario di una famiglia mennonita tedesco-svizzera ma di cittadinanza francese, noto per avere collaborato col Terzo Reich nella germanizzazione e nazificazione della sua terra d'origine vale a dire l'Alsazia.

Nato nel 1904 a Hottviller in Lorena (allora Hottweiler), a quel tempo compresa nell'impero tedesco guglielmino, dopo il 1918 ed il ritorno della regione alla Francia, il giovane Hermann si iscrive a Legge aprendo poi uno studio legale a Strasburgo nel 1934. Ma è la politica che lo attrae, in particolare quella legata ai gruppetti ed organizzazioni autonomiste ed indipendentiste di matrice germanofona che frequenta ed alle quali aderisce fino a fondarne una propria nel 1933, vale a dire lo Jungmannschaft, allo stesso tempo movimento giovanile e foglio di lotta, che nel 1936 Bickler trasformerà poi in un partito politico denominato Elsaß-Lothringische Partei (ELP) al fine di eludere la legge francese sui movimenti estremistici.

Il Wolfsangel o gancio di lupo, emblema della Jungmannshaft e di altre organizzazioni paramilitari filonaziste


Di impianto ideologico nazista e filo-tedesco seppure con tratti fortemente identitari e legati al territorio, lo ELP viene messo al bando dalle autorità francesi nell'aprile 1939 e lo stesso Bickler arrestato il 31 ottobre 1939 assieme ad altri leaders autonomisti alsaziani.

Tornato in libertà dopo la resa francese, Bickler prende parte attiva all'assimilazione dell'Alsazia-Lorena nel Reich nazista, nel ruolo di Kreisleiter di Strasburgo nonché di membro effettivo delle SS col grado di SS-Standartenführer (colonnello). In tale funzione promuove l'arruolamento dei malgré-nous (1) nell'esercito tedesco e la completa incorporazione della Jungmannschaft nelle Waffen-SS. Tuttavia il suo rifiuto ad abbandonare la fede protestante lo rende inviso agli occhi di Robert Wagner, Gauleiter dell'Alsazia Lorena, il quale alla fine del 1942 non gli rinnova  l'incarico di Kreisleiter. 

Chiamato a Berlino presso il RSHA (2), Bickler ritorna in Francia nel 1943 col nuovo ruolo di direttore del reparto VI-SD presso il BdS Parigi, vale a dire di comandante dell'intelligence politica (SD) del comando di SS e Polizia di Parigi: un dipartimento strettamente collegato alla Gestapo, incaricato tra l'altro della repressione antipartigiana.

Hermann Bickler, in divisa da Kreisleiter, 1941-1942

È in tale ruolo quindi, che nel 1943/44 Bickler presta servizio a Taverny dove promuove l'arruolamento e la formazione di un reparto di polizia ausiliaria antipartigiana formata da volontari francesi, denominata Selbstschutzpolizei.

L'11 agosto 1944, dopo il D-Day Bickler abbandona Parigi e ripara a Strasburgo e quindi nel novembre successivo, prima dell'ingresso a Strasburgo delle truppe di De Gaulle, si sposta oltre Reno a Heiligenberg nel Baden, dove tenta di riorganizzare miliziani e collaborazionisti in fuga dalla Francia, reclutando agenti. È in questa fase che viene incaricato di organizzare una rete di sabotatori da infiltrare dietro le linee alleate. 

Nelle intenzioni si tratta di dare vita a dei gruppi "partigiani bianchi" (Maquis Blancs), per i quali vengono aperti tre centri addestrativi a Wald, Hausen e Wiesbaden. A sovrintendere all'intera operazione vi sarebbe il noto Otto Skorzeny, reduce dall'avere organizzato dei reparti analoghi nelle Waffen-SS (le cosiddette Jagdverbände).

Il fallimento dell'operazione Maqis Blancs è prodromico al collasso definitivo del Reich. 

In tale periodo, marzo 1945, Bickler si trova a Salem presso Costanza, che di lì a poco diverrà area d'occupazione francese, dove cerca di aprire una rat-line verso la Spagna a favore di collaborazionisti francesi in fuga; gli è facile quindi in tale ruolo fornire al suo amico e scrittore francese Céline, conosciuto durante il servizio a Parigi, il visto d'uscita per la Danimarca, sottraendolo così a probabili rappresaglie delle autorità francesi.

L'armistizio sorprende Bickler a Baden Baden. Temendo a sua volta di finire nelle mani dei francesi si sposta allora ad Heidelberg che ricade invece sotto occupazione americana. Ad Heidelberg opera uno dei comandi del CIC, il Counter Intelligence Corps americano, vale a dire l'agenzia antesignana della DIA, che aveva scelto di accettare i servigi offertigli da Reinhard Gehlen, il generale tedesco comandante del Fremde Heer Ost, ovvero il servizio di intelligence e sabotaggio dipendente dal comando supremo dell'Esercito (OKH). (1)

È probabile che sia dunque in questa fase che Bickler, riciclatosi in modesto operaio forestale, si fosse messo in contatto con l'Organizzazione Gehlen, venendo poi da questa verosimilmente informato della sentenza di condanna a morte per collaborazionismo comminatagli in contumacia dalle autorità giudiziarie francesi (4/9/47): sentenza cui Bickler si sottrae spostandosi clandestinamente a Innsbruck, ospite di un convento di frati cappuccini.

Secondo Charlese Béné, autore di una monumentale opera sull'Alsazia nel periodo nazista, il fuggiasco nascosto sotto un saio cappuccino sarebbe stato spostato dapprima a Bolzano e quindi a Portofino, in provincia di Genova.

Sulla appartenenza di Bickler all'organizzazione di Gehlen, non sembrano esserci grossi dubbi: viene infatti citato in un documento del CIC declassificato nel 2006 che rivela la sua connessione con una certa Mme. Pannwitz: si tratta probabilmente della moglie dell'SS-Sturmbannführer Heinz Pannwitz alto funzionario della Gestapo di Parigi e sodale di Bickler durante la guerra, consegnato dai francesi ai sovietici nel 1945 e rientrato nel 1956 in Germania dove verrà poi ingaggiato dal nuovo servizio segreto federale BND, diretto da Gehlen.

Non solo. Un secondo documento CIA datato 26 agosto 1959 lo descrive come presunto agente estero dello stesso BND, dove risulta noto sotto diversi pseudonimi: Pietro Mair, Winkler e Schmidt. 

 





Siamo alla fine del 1947 ed Hermann Bickler si stabilisce a Portofino. Di là a breve, grazie all'aiuto dei gesuiti di Milano, lo raggiungeranno la moglie ed i figli.
A confermarlo è una testimonianza video di suo figlio Dietrich, rilasciata nel 2023, che però non chiarisce i motivi della scelta di tale località, a 40 km da Genova, né spiega di cosa vivesse la famiglia in quel piccolo borgo marinaro, mondano fin dagli anni '30 ma non certo florido in quel primissimo dopoguerra.
Quindi perché Hermann Bickler sceglie Portofino anzichè qualche località in grado di offrire prospettive migliori alla sua famiglia?

Non ci sono conferme né prove, solo ipotesi. Ed una di queste ci conduce alla ben nota ratline, la linea di fuga dei nazisti verso il Sudamerica, che aveva Genova come terminale di imbarco.
Il sospetto non è tanto quello che Bickler volesse espatriare, quanto piuttosto che facesse in qualche modo parte della struttura logistica della stessa ratline, in particolare considerando la sua appartenenza alla rete di Gehlen e le sue precedenti esperienze nel fare fuggire sodali ed amici (come Céline) verso la Spagna e la Danimarca. 
Bickler, con la sua agendina di contatti nel mondo torbido dell'intelligence avrebbe potuto certamente essere un elemento utile.

Bickler scelse quindi Portofino su indicazione di Gehlen che intendeva utilizzarlo nella messa a punto della propria ratline?
Non si sa. E qui il discorso si complica perché entra in gioco una seconda via di fuga, sempre basata su Genova via Roma ma utilizzata prevalentemente da fuggiaschi croati.

Ciò che è certo è che Portofino si trova a 5 Km da Santa Margherita Ligure, che allora era passaggio unico ed obbligato per raggiungere Roma da Genova, attraverso cui doveva per forza transitare, tra l'altro la celebre Mercedes nera con targa vaticana che Don Karlo Petranovic, sacerdote croato con passato ustasha, utilizzava nei suoi viaggi di andata e ritorno dalla capitale al servizio della cosiddetta ratline dei conventi. A Roma Petranovic si rapportava con un altro prelato croato, padre Krunoslav Draganovic, segretario della Confraternita di San Girolamo in via Tomacelli, che ben presto diverrà il principale snodo della ratline croata.

Non è chiaro se la ratline di Gehlen fosse collegata a quella di Petranovic oppure avesse una logistica propria. 
Quello che è certo è che Gehlen a sua volta disponeva a Roma di un fondamentale punto d'appoggio, nella persona di Willy Friede, ex-colonnello delle SS con importanti agganci vaticani, dal 1946 residente presso il collegio gesuita Germanicum di via Nicola da Tolentino, divenuto ben presto la base operativa della ratline di Gehlen: la cosiddetta ODEUM, organizzata da Friede e diretta da Johannes Gehlen, fratello di Reinhardt.

Tutti i fiumi portano al mare. Ed è quindi plausibile alla fine che la ratline dei conventi e quella di Gehlen abbiano finito per sovrapporsi, anche perché disponevano di almeno un referente comune: vale a dire il vescovo austriaco Alois Hudal, che fino al 1952 sarà rettore a Roma del Pontificio Collegio di Santa Maria dell'Anima.

Se Hermann Bickler sia stato o meno una rotella di questo ingranaggio forse non si saprà mai. Resta il fatto che la presenza dei Bickler a Portofino, dal 1948 fino ai primi anni '50, coincise forse non casualmente con il momento di massima attività della ratline genovese, che si concluse sostanzialmente nel 1951 dopo la fuga di Klaus Barbie, il boia di Lione collaboratore del CIC: lo stesso CIC che teneva sotto tutela la rete di Gehlen e che aveva Draganovic come referente per la ratline dei conventi.

Dunque, nei primi anni '50 i Bickler lasciano Portofino e si trasferiscono a Milano, dove Hermann avvia un piccolo commercio di tessuti. In una intervista rilasciata molti anni dopo suo figlio Hans ricorderà con nostalgia i tempi in cui viveva all'angolo di una via Gluck semirurale molto simile a quella cantata da Adriano Celentano.

Hermann a quel punto ha con sé sua moglie Ruth (1909-2004) e otto figli: Martin (1947-1988), Dietrich (1940-), Hans (1932-2017), Otto ed altri quattro. Ma la loro posizione non sembra granché stabile. La famiglia mantiene un profilo basso non essendo in regola con le autorità italiane, al punto da non potere iscrivere i figli a scuola. Secondo il Manifesto è lo stesso Hermann a dover fare da insegnante al piccolo Dietrich.

L'Italia, appunto. Quali sono i rapporti tra Hermann Bickler e le autorità italiane?
Secondo Charles Béné, Bickler era considerato un rifugiato politico ma non avrebbe mai ricevuto un permesso di soggiorno definitivo in Italia, né sarebbe mai stato ricercato come criminale di guerra. In altre parole sarebbe stato semplicemente ignorato. O quasi.

Nonostante mantenga un profilo basso, Hermann si dà da fare: ha pur sempre una famiglia da mantenere e progetti da portare a termine e per entrambe le cose occorrono risorse di cui probabilmente non dispone, quantomeno non a sufficienza.

Ed ecco che ci viene nuovamente in aiuto Charles Béné, il quale ci spiega come Hermann, fin dal 1947 avesse ottenuto l'aiuto di una facoltosa dama tedesca munita di passaporto svedese, ex-agente dell'Abwehr nonché proprietaria di una vasta tenuta ad Arolo, presso Leggiuno, chiamata "Madonnina". 
Sarebbe questa misteriosa "dama nera" ad avere agito da intermediaria per consentire a Hermann di acquistare un ampio terreno in località Angisio, 3 km da Arolo, dove negli anni successivi Bickler farà costruire, sulla cima di una piccola collina prospiciente il Lago Maggiore, una sontuosa villa isolata che verrà battezzats come residenza "San Martino".

Chi fosse questa "dama nera" proprietaria della "Madonnina" non è dato sapere. È plausibile comunque facesse parte del giro della Hilfsverein Mailand e che fosse presente in Italia fin dagli anni '30.
Attualmente esiste ancora ad Arolo una villa padronale chiamata "La Madonnina", gestita da una pagina web svizzera ed adibita ad uso turistico.

Passeranno ancora diversi anni prima che i Bickler si possano infine trasferire, verso il 1963, nel buen retiro di Cellina, in quella villa circondata da un vasto parco recintato ed accessibile da un'unico sentiero nel bosco che Hermann aveva fatto costruire.
La villa è tutt'ora isolata, immersa in un bosco e raggiungibile solo attraverso sentieri; sul lato a strapiombo sul lago è presente una sorta di torrione semicircolare simile a quello di un antico maniero svevo ed il tutto dà l'impressione di un sito scelto appositamente per tutelare la privacy del suo proprietario.


Residenza San Martino, dimora di Hermann Bickler: una specie di "nido dell'acquila" a strapiombo sul Lago Maggiore. Fotogramma tratto da Lago Nero, trasmissione de La7 del 22/4/24. Sotto, la stessa ripresa da Google Earth. Notare il torrione semicircolare sull'angolo in alto a sx, visibile anche nella prima foto. Attualmente la dimora dovrebbe appartenere ad altri proprietari
 


Dunque, per Bickler, un incontro provvidenziale quello con la "dama nera". Béné non specifica dove abbia appreso alcuni dettagli, ma dà per certo il fatto che la misteriosa signora avesse reso Hermann beneficiario di una parte dei fondi accumulati durante la guerra dalle SS a Berna presso la Banca Nazionale Svizzera, poi abbondantemente utilizzati per carburare le ratline e sovvenzionare i fuggitivi nei primi passi della loro nuova vita da esuli.

Nel frattempo il business di Hermann prospera, anche in questo caso agevolato a quanto pare dalla "dama nera", che lo favorisce procurandogli la rappresentanza di una importante impresa tessile di Amburgo: ruolo che gli consente frequenti viaggi in Germania, segnatamente in Baviera, dove Gehlen, con il pieno appoggio del CIC, si appresta a trasformare (dall'aprile 1956) la sua organizzazione nel BND, ovvero il servizio segreto della Repubblica Federale di Germania. 
Secondo Philip Bankwitz autore di un saggio sui leaders autonomisti alsaziani pubblicato nel 1978 e la cui edizione francese fu osteggiata da Bickler, Hermann avrebbe soggiornato a Gera, Tubinga e Zweibrücken.
Curiosamente, ma forse casualmente, a commerciare in tessuti non è il solo Bickler ma anche il suo ex-compagno d'armi Roland Nossek, che aveva servito sotto di lui a Parigi nell'ufficio VI-SD. Sia Nossek, sia Bickler vengono menzionati in connessione con Pannwitz in un documento del CIC datato gennaio 1960. Anche per il CIC, però, è tempo di mutamenti, perché dall'autunno 1961 verrà trasformato dell'attuale DIA, Defence Intelligence Agency.

È il 1963 ed in vista della vecchiaia arriva finalmente per Hermann il momento di trasferire tutto il clan nel buen retiro in riva al Lago Maggiore. La villa edificata sul terreno acquistato nel 1948 è pronta ad accogliere la numerosa famiglia, che lascia Milano dove mantiene però le proprie attività commerciali; e se non fosse stato per la prematura scomparsa del figlio Martin (1947-1988), nulla avrebbe turbato la routine di Hermann, resa familiare dalla presenza, sparse nel circondario, di numerose famiglie tedesche: una comunità diffusa, secondo quanto affermato da Béné su oltre 400 proprietà immobiliari nel solo settore Luino-Angera: diverse delle quali sequestrate sequestrate dallo stato italiano nell'immediato dopoguerra e poi restituite subito dopo. Insomma, una "piccola Germania", che probabilmente aiuta i Bickler a passare inosservati per anni.
Hermann in realtà non nega il suo passato di esule politico inseguito da una condanna a morte, ma a tratti lo rivendica ed a tratti lo manipola a beneficio dei suoi compaesani. Riceve visite dalla Germania ed abbondante corrispondenza da Francia e Sudamerica; addirittura, qualcuno lo vede aggirarsi nella sua proprietà con addosso la sua vecchia uniforme SS.
Le autorità italiane lo conoscono anche perché pare che ad un certo punto la procura di Varese avesse ricevuto un rapporto su Bickler da parte dei Carabinieri, di Leggiuno, che però si traduce in un nulla di fatto; come anche cade nel vuoto una segnalazione inviata nel dicembre 1980 al magistrato Aldo Gentile che indagava sulla strage di Bologna relativamente al rinvenimento del contatto telefonico di Hermann Bickler nell'agendina dell'estremista tedesco ed ex-giudice nazista Manfred Roeder, fondatore (nel 1980) del gruppo terrorista neonazista Deutsche Aktionsgruppe.

Sopra e sotto, l'informativa su Roeder al giudice Aldo Gentile. Fotogramma tratto da Lago Nero, trasmissione de La7 del 22/4/24




Ed ancora, una presunta richiesta di estradizione da parte degli inquirenti francesi, sarebbe stata respinta dalle autorità italiane fin dal 1952. Insomma siamo di fronte a circostanze che fanno ipotizzare qualche sorta di "impunità" riconosciuta di fatto a Bickler, forse per via del suo ruolo come agente del BND se non addirittura di Stay Behind, come asserito nella trasmissione Lago Nero de La7 del 22/4/24.


Nel suo buen ritiro Hermann si spegne nel 1984, precedendo di 20 anni la moglie Ruth. Ambedue ora riposano assieme al figlio Martin nella tomba di famiglia del cimitero di Leggiuno.
Gli sopravvivono gli altri figli, uno dei quali direttore di un carcere a Francoforte ed un'altra figlia sposata in Germania. A portare avanti il business di famiglia è invece Hans, titolare di una società di import-export tessile a Milano.
Dietrich invece percorre una strada diversa. Dopo aver provato una carriera d'architetto, dagli anni '80 si dedica alla pittura con un certo successo, dal suo studio-atelier di Cardana di Besozzo a 4 km dalla residenza San Martino, in un ordinato villino in collina che diventerà suo malgrado protagonista di vicende sospese a metà strada tra cronaca e Storia.

La tomba di famiglia dei Bickler al cimitero di Leggiuno, circa 500m dalla residenza San Martino 




Fine parte 1

(1) I malgrè nous, o nostro malgrado, erano gli alsaziani e lorenesi reclutati come coscritti nella Wehrmacht, che non potevano sottrarsi agli obblighi di leva in quanto provenivano da un territorio ex-francese annesso al Reich nel 1940

(2) Il RSHA o Reichsicherheitshauptamt, ufficio centrale per la sicurezza dello Stato era il comando centrale delle forze di polizia del III Reich, comprendente polizia d'ordine, Gestapo, SD e Krimi se w1malpolizei. Era diretto da Reinhard Heydrich, direttamente subordinato a Himmler.

(3) Il Fremde Heer Ost di Gehlen dipendente dall'OKH non va confuso con l'Abwehr di Wilhelm Canaris, dipendente invece dallo OKW, il comando supremo delle forze armate soprastante l'OKH





 

venerdì 13 giugno 2025

L’espansione della NATO ad est: verità e menzogne





Introduzione

Una delle colonne portanti della propaganda putinista dell’ultimo decennio riguarda l’allargamento della NATO ai paesi dell’est in asserita   espansione che sarebbe stato stipulato con Mosca nel 1990, propedeutico alla riunificazione tedesca.

Si tratta di una narrativa distorta, basata su una abile mescolanza di elementi situazionali ed interpretazioni speciose che proveremo a decostruire.

Sgombriamo per prima cosa il campo dalle false asserzioni e stratificazioni propagandistiche accumulate nel corso degli anni, partendo con un primo dato di fatto: non esiste alcun accordo formale e giuridicamente vincolante tra Mosca e le controparti occidentali che impegni queste ultime a non allargare ad est i confini della NATO.

Sotto questo punto di vista è quindi totalmente falso ciò che Putin va ripetendo da anni, relativamente ad un presunto tradimento degli impegni a suo tempo assunti dall’Occidente nei confronti dell’Unione Sovietica.

Su cosa si basa quindi la narrativa russa?


Si basa su una serie di rassicurazioni verbali e ammiccamenti informali rilasciati a Gorbachev dai leaders occidentali nelle more dei negoziati Two plus Four che portarono alla riunificazione tedesca del 3/10/1990 ed anche nei 12 mesi successivi, antecedenti la caduta dell’URSS. Assicurazioni che riguardavano essenzialmente il territorio della DDR, come lo stesso Gorbachev avrebbe ammesso in una intervista nel 2014, ma che da anni vengono manipolate dalla propaganda di Putin.

In altre parole, partendo da alcuni elementi accertati, la narrativa di Mosca ha prodotto, su questa vicenda, una serie di interpretazioni extrastoriche, unilaterali e strumentali di atti ed eventi, secondo la tattica manipolatrice che abbiamo visto ancora recentemente all’opera in Crimea e Donbas e che tiene conto solo degli elementi favorevoli escludendo tutti quelli a sfavore.

La riunificazione tedesca avvenne per annessione della Germania Orientale da parte di quella Occidentale


L’intera questione ruota attorno ad alcune affermazioni relative alla tutela degli interessi dell’URSS, rilasciate individualmente ed in tempi diversi a Gorbachev ed al suo entourage tra il 1990 ed il 1991 da Baker, Bush, Genscher, Kohl, Gates, Mitterrand, Thatcher, Hurd, Major e Woerner: compresa la nota assicurazione di James Baker “nemmeno un centimetro verso est” del 9 febbraio 1990.


Le ragioni che avevano portato i leader occidentali a fornire assicurazioni al Cremlino, ma senza che venisse concordato alcun documento formale e vincolante, erano legate alla situazione contingente che stavano affrontando, innescata dalla caduta del Muro.


Oggetto del contendere di questo scenario era la riunificazione tedesca, da attuarsi inevitabilmente attraverso un accordo con Mosca ed all’interno di un quadro che prevedeva la coesistenza delle due alleanze: NATO e Patto di Varsavia. Sotto questo punto di vista il nocciolo della questione era il futuro status della Germania riunificata (dentro o fuori la NATO?) nonché, all’interno della stessa Germania, l’assetto dei Länder della ex-DDR che Mosca chiedeva fossero smilitarizzati ed esclusi dal dispiegamento di strutture NATO per via della presenza di un massiccio contingente sovietico, per il cui ritiro erano necessari alcuni anni.


In tale contesto lo status degli altri paesi del Patto di Varsavia non era in discussione in quanto veniva data per scontata la loro permanenza nella sfera militare di Mosca, sia pure all’interno di rapporti ridisegnati in positivo e di crescente distensione tra i due blocchi.


In sostanza lo status-quo era ritenuto inamovibile tanto che né Kohl né lo stesso Gorbachev, come confermato da lui stesso, si erano immaginati un rapido collasso del Patto di Varsavia.


Vi erano oltretutto dei fatti oggettivi: tra questi la consapevolezza che nei colloqui con Mosca né gli Stati Uniti né la Germania avrebbero potuto assumersi impegni precisi a nome dell’intera NATO relativamente a quei paesi che, in via ipotetica, avrebbero potuto aspirare a farne parte: ragione per la quale in nessuno dei quattro incontri trilaterali USA-URSS-RFT venne firmato alcun documento che vincolasse la NATO alla non-espansione ad est, né Gorbachev ritenne di doverlo richiedere: non per ingenuità, ma perché in quel momento un allargamento ad est dell’Alleanza appariva del tutto irrealistico. (1)


Un secondo fatto oggettivo era l’impossibilità da parte NATO di aggregare paesi che sarebbero rimasti ancora a lungo presidiati da massicci contingenti sovietici, il cui rientro in patria era previsto venisse completato solo nel 1994 (2): cosa che di fatto avrebbe mantenuto sotto occupazione gli ex-satelliti, relegandone un eventuale cambio di campo al novero delle opzioni realizzabili solo con specifiche negoziazioni, come quelle che riguardavano la riunificazione tedesca e lo stazionamento concordato e temporalizzato delle truppe sovietiche nei Länder ex-DDR.


Vi erano poi i ragionamenti dei singoli paesi occidentali in merito alla riunificazione tedesca, che apertis verbis tutti plaudivano ma che in camera caritatis non tutti apprezzavano. (3)


Si ebbe così una curiosa convergenza di interessi:

🔹dei tedeschi, particolarmente ben disposti con Gorbachev per via del miraggio della riunificazione che si stava facendo realtà, ma anche per la ventennale Ostpolitik di Bonn verso Mosca, che via la perestrojka, sembrava aver trovato il proprio fine ultimo con la potenziale e prevedibile apertura del mercato sovietico all’economia tedesca;

🔹degli altri occidentali, con sfumature variamente aperturiste verso Mosca, ma tutti più o meno in sintonia con la necessità di ottenere rapidamente luce verde da Gorbachev ad una riunificazione tedesca nella NATO, quale preferibile alternativa ad una grande Germania neutralizzata ma in grado di trasformarsi in prospettiva in una potenza continentale libera dal guinzaglio dell’Alleanza Atlantica; (4)

🔹degli stessi sovietici che, perlomeno nell’entourage di Gorbachev, si erano rassegnati all’ineluttabilità storica di una riunificazione tedesca: ma che da questa cercavano di trarne il maggior vantaggio possibile nei tempi, nei modi e nelle risorse, anche in rapporto agli equilibri interni, ovvero di quella parte non insignificante dell’apparato che non si era invece rassegnato al declino.


Fu quindi facile per Genscher dichiarare, il 31/1/90 a Tutzing in Baviera, “che i cambiamenti nell’Europa orientale e il processo di unificazione tedesca non dovevano portare a una compromissione degli interessi di sicurezza sovietici”, ottenendo quindi l’assenso di Mosca alla riunificazione (10/2/90) anche in cambio di massicci finanziamenti, poi erogati principalmente da Bonn. (5)


Allo stesso modo fu facile per Baker, il 9/2/90, recitare con Gorbachev la formula “non un pollice verso est” riferita implicitamente al territorio DDR ed egualmente lo fu per gli altri leaders occidentali, nessuno dei quali intendeva compromettere l’architettura del Patto di Varsavia né tantomeno la stabilità dell’URSS. (6)


Forse più difficile ma di certo inevitabile fu il benestare di Gorbachev, oramai persuaso a seguire il percorso della Storia, come in seguito confermato da lui stesso: “sarebbe stato un grosso errore rimanere aggrappati alla cortina di ferro”. 


Nell’estate 1990, con una Unione Sovietica ancora in pieno possesso (militare se non politico) del proprio perimetro di sicurezza e con gli ex-satelliti in fase di complicata transizione era dunque irrealistico immaginare una architettura europea diversa dallo status-quo, nonché anche solo elaborare con certezza di diritto una qualche forma di trattato in grado di tracciare e vincolare un futuro ancora inimmaginabile.


La questione si chiuse quindi, per non essere più riaperta, nell’agosto 1990 con una specie di implicita e reciproca concordanza sul mantenimento dello status-quo in Europa orientale, in funzione della imminente riunificazione tedesca, prevista per il 3/10/90 dopo la firma solenne a Mosca il 12/9/90 del Trattato per lo stato finale della Germania (TSFG) con il quale le quattro potenze vincitrici della WWII avevano archiviato definitivamente la “questione tedesca” nonché la stessa Guerra Fredda.


Vi erano però due potenziali punti deboli:


🔹la concordanza di interessi era dovuta a contingenze oggettive non decontestualizzabili, basate su presupposti piuttosto fragili ed incardinate più che altro alla buona volontà, ossia allo “spirito del trattato 2+4”, che ben difficilmente avrebbe potuto superare indenne le difficili prove che la Storia aveva in serbo per entrambe parti già nel breve periodo. Prima fra tutti la dissoluzione fattuale (3/91) e quindi formale (7/91) del Patto di Varsavia, che apriva a variabili inesplorate.


🔹Questa prima debolezza portava alla seconda, in quanto in nessun caso degli accordi verbali concordati in un contesto particolare avrebbero potuto avere la forza di un trattato formale e vincolante sul tipo di quelli che USA ed URSS avevano condiviso negli anni con tutti i crismi del Diritto internazionale: ultimo dei quali il trattato INF firmato a Washington da Reagan e Gorbachev il 08/12/87 e ratificato a Mosca l’1 giugno 1988. Questa seconda debolezza conteneva i presupposti di possibili future rivendicazioni e crisi.


L’architettura complessiva uscita dal 2+4 era quindi intrinsecamente precaria, ma lastricata di buone intenzioni (come il CSCE) e certamente condivisa da reciproci interessi convergenti, compresi i sostanziali risparmi cui avrebbero beneficiato le esauste casse sovietiche una volta liberate dal fardello del Patto di Varsavia e dal mantenimento dell’enorme apparato militare dispiegato nei paesi del blocco orientale. (7)


Pacta sunt servanda

L’intero meccanismo della riunificazione tedesca rimaneva dunque vincolato al fragile equilibrio raggiunto nell’agosto 1990, che i leaders occidentali cercarono di preservare nei mesi successivi, quando a partire dal febbraio 1991 alcuni paesi del blocco sovietico in uscita dal moribondo Patto di Varsavia (in primis Polonia e Ungheria) cominciarono a sondare la possibilità di un loro ingresso nella NATO, rendendo improvvisamente attuale ciò che solo sei mesi prima appariva del tutto improbabile: eventualità stoppata da Genscher, che in seguito ammise come quei paesi fossero “stati scoraggiati dal farlo in discussioni riservate.”


Analoga la posizione britannica rappresentata da John Major, che nel marzo 1991 confermò a Gorbachev la non-disponibilità della NATO ad ampliare i propri confini.


Quanto al governo americano, già il 22 ottobre 1990 su iniziativa del Dipartimento di Stato aveva confermato in un documento interno, come non fosse “nel miglior interesse della NATO o degli Stati Uniti che a questi stati venisse concessa la piena adesione alla NATO”. (8)


Per tutto il 1991 i leaders occidentali fecero quindi il necessario per mantenere con Mosca il gentlemen’s agreement dell’agosto 1990 e fu solo dopo il tentato golpe contro Gorbachev (19/8/91) ed il successivo collasso sovietico che vennero oggettivamente a mancare i presupposti minimi per continuare a considerare valide delle assicurazioni verbali rilasciate ad un leader oramai rimosso di un paese non più esistente.


Nonostante l’impegno anche finanziario degli occidentali l’Unione Sovietica era crollata sotto il peso della propria marcescenza strutturale, ammettendo di fatto la propria sconfitta nella Guerra Fredda con l’ammainabandiera del 31/12/1991. Ed anche alla Russia di Eltsin, come ad ogni altro paese sconfitto, il dopoguerra non poteva non imporre una cesura: a partire dal fatto che non vi era più alcuna ragione, da parte occidentale, per continuare a tenere bloccato il corso della Storia, in un contesto già superato dagli eventi e da cui era scomparsa anche una delle due parti in causa.


Per fare un paragone sarebbe stato come se gli Alleati nel 1950 avessero ritenuto di dover mantenere fede, con la Germania di Adenauer, ad un accordo informale stipulato nel 1936 con il Reich di Hitler.


Ciò nonostante l’ammissione nella NATO dei paesi del vecchio blocco sovietico fu rallentato per altri 8 anni, fino al 12 marzo 1999, quando dopo molte esitazioni e lo step intermedio del Partnership for Peace, cominciarono ad essere ammessi Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca.

L'ammissione nella NATO dei paesi dell'est fu graduale e si concluse solo nel 2004



Ci volle poi fino al 2004 per assistere all’avanzamento definitivo che avrebbe portato dentro Romania, Bulgaria e Slovacchia oltre ai tre stati baltici con i quali, per la prima volta in Europa centrale, la NATO arrivava a toccare un breve tratto di confine russo lungo le frontiere di Estonia e Lettonia, oltretutto in un ambiente penalizzante per l’alleanza, privo di profondità strategica e potenzialmente a rischio di isolamento attraverso il gap di Suwalki: dunque un assetto meramente difensivo che non poteva rappresentare per Mosca alcun tipo di minaccia. (9)


Si realizzava così il timing di Kohl del 1991, quando predisse che sarebbero stati necessari almeno 10 anni prima di vedere i baltici nella NATO.


Dunque estrema prudenza da parte della NATO, tanto che le bombe nucleari USA B61 a doppia chiave sono tuttora trattenute nei loro siti originari in Europa occidentale, nonostante la disponibilità offerta dalla Polonia ad accoglierne una parte.


Da sottolineare anche, come in ossequio al TSFG che denuclearizza permanentemente il territorio della ex-DDR, le circa 20 B61 sotto custodia tedesca siano stoccate nel sito di Büchel a SO di Coblenza, ovvero in quella che era stata la Germania Occidentale. (10)


Una ulteriore clausola del TSFG riguardava poi la riduzione, dopo la riunificazione, delle forze armate tedesche uscite dalla fusione tra Bundesheer e NVA che al loro apice, a fine 1990 avevano raggiunto i 550.000 uomini.


Anche in questo caso le clausole del TSFG che prevedevano una riduzione a 370.000 e poi a 345.000 entro il 1994 furono non solo del tutto rispettate ma ampiamente superate, tanto che nel 2021 il personale totale delle FFAA tedesche non raggiungeva le 200.000 unità, con conseguente conferma della postura difensiva sul territorio europeo della Germania nello specifico ma anche della NATO più in generale, nonostante l’espansione territoriale che potrebbe indurre qualcuno a pensare il contrario.

La riduzione delle FFAA tedesche 1990-2020



Analoghe, pesanti riduzioni, riguardarono tutte le altre nazioni dell’ex Patto di Varsavia passate alla NATO:


🔹Polonia da 350.000 a 200.000 (2023)

🔹Ungheria da 160.000 a 32.000 (2023)

🔹Cecoslovacchia da 201.000 (1987) a 28.000+20.000;

🔹Romania da 270.000 (1984) a 72.000 (2024);

🔹Bulgaria da 160.000 a 37.000 (2023)


Questi tagli erano compresi negli accordi del Trattato CFE firmato il 19/11/90 a Vienna che portarono ad equivalenti riduzioni da parte di Mosca ma dimostrano come non vi sia mai stata alcuna intenzione aggressiva da parte Occidentale nei confronti dell’Unione Sovietica prima e della Russia poi: tanto che le riduzioni proseguirono fino ad anni recenti nonostante i rapporti tra Mosca e le capitali occidentali non fossero più quelli costruttivi dei tempi del 2+4, ivi compreso il ritiro unilaterale russo dallo stesso trattato CFE nel 2015.


Anche questo, dunque, è un ulteriore elemento che disvela le menzogne di Putin circa un’aggravata minaccia strategica alla Russia a seguito dell’espansione ad est della NATO.


Alla prudenza strategica si univa il supporto materiale. Il “contratto di acquisizione” della DDR da parte della Germania Occidentale prevedeva infatti la corresponsione all’Unione Sovietica in varie forme di >40mld USD da parte tedesca nel periodo 1990-91, oltre alle spese di mantenimento delle truppe dell’Armata Rossa stimabili in circa 5mld/anno USD, dal 1992 e fino alla loro completa evacuazione, conclusasi nel 1994.

L’impegno finanziario tedesco verso l’URSS nel 1990-91


Più modesto rispetto a quello tedesco il supporto USA, avviato a partire dalla fine del 1990 ma pur sempre quantificabile in oltre 4 mld/USD nel periodo 90-91, in buona parte sotto forma di crediti agricoli, cui si aggiungevano varie donazioni anche private in medicinali ed altre forniture d’emergenza.

Oltre a ciò nel 1991 gli USA misero a disposizione la prima tranche di 0,7mld/USD del programma Nunn-Lugar relativo allo smantellamento delle WMD.

Infine, il 15/12/90 2,4 mld/USD furono stanziati dagli altri paesi UE ed ulteriori 1,5 il 7/10/91. (11)


In sintesi tra i 1990 e la caduta dell’URSS oltre 50 mld/USD contribuirono a sostenere le asfittiche casse sovietiche ripagando in moneta quello che poteva essere considerato un sacrificio strategico di Mosca.

L’erogazione di tale mole di denaro ed in particolare la quota tedesca, che contribuì a sostenere l’URSS nel suo momento più critico favorendone una transizione più o meno ordinata, era collaterale agli accordi 2+4, ma nella litania di biasimi all’Occidente e di critiche alla NATO viene costantemente (ma non casualmente) ignorata dalla narrativa putinista: nulla di nuovo nel libro mastro perennemente a credito di Mosca, in cui ad esempio la retorica sulla Grande Guerra Patriottica regolarmente sorvola sul ruolo avuto dal programma lend-lease nella vittoria sovietica.

Alla luce di queste dinamiche dovrebbe essere quindi chiaro come l’accusa di “tradimento dei patti” continuamente reiterata all’Occidente dalla narrativa russa e dallo stesso Putin sia speciosa, distorta e manipolata, oltre che strumentale, soprattutto se la si confronta con il doppio standard che Mosca applica a sé stessa quando lo ritiene conveniente:


🔹ad esempio lamentandosi del mancato rispetto di un accordo verbale ed informale come quello di non-espansione NATO del 1990 ed allo stesso tempo invocando la mancata ratifica da parte della Duma di un accordo sottoscritto e formale come il Memorandum di Budapest del 1994, quale pretesto per rivendicarne l’invalidità e giustificarne così la violazione da parte della Russia;

🔹ad esempio pretendendo continuità del vincolo di validità delle strette di mano anche nel passaggio dal sistema statuale sovietico gorbacheviano a quello russo eltsiniano ed allo stesso tempo dichiarando conclusa la validità del Memorandum di Budapest dopo il passaggio dal governo di Yanukovich a quello di Poroshenko, che Mosca considera illegale e quindi, a suo dire, non più soggetto ai benefici del memorandum medesimo.

🔹ad esempio quando invoca speciosamente per il Donbas il principio di autodeterminazione dei popoli, non applicabile alle minoranze etniche coesistenti assieme ad altri in uno stato indipendente, ma lo nega quando i propri ex-satelliti rivendicano la libertà di scegliere nuove alleanze. (12)


Conclusioni

Quanto detto finora ci porta ad alcune considerazioni finali:

🔹1) non vi è stato alcun tradimento dei patti da parte occidentale, semplicemente perché non è mai esistito alcun accordo formale e vincolante da rispettare. In diritto internazionale contano i trattati sottoscritti e riconosciuti con tutti i formalismi che a volte neanche bastano a fare sì che vengano rispettati. Per questo gli accordi verbali non possono essere presi a modello se non nei retrobottega della politica.


🔹2) Tutti gli elementi accessori compresi nei trattati formali prodotti dal deal 2+4, quali il TSFG ed il CFE sono stati rispettati da parte occidentale: dai finanziamenti, alla riduzione delle forze militari, alla denuclearizzazione dei Länder ex-DDR.


🔹3) La stessa ammissione di nuovi membri nella NATO è avvenuta in tempi lunghissimi, quando le condizioni geopolitiche erano molto diverse rispetto a quelle costruttive del 1990, soprattutto durante il grande allargamento del 2004.


🔹4) È falso che l’avanzamento della NATO verso est abbia causato alla Russia un peggioramento delle proprie condizioni di sicurezza. L’inclusione dei paesi baltici ha semmai imposto all’Alleanza una nuova sfida strategica, ovvero la necessità di dover proteggere un nuovo quadrante estremamente complesso e vulnerabile.

Ciò che la NATO ha invece ottenuto è un oggettivo miglioramento della sicurezza dell’Europa Occidentale per via dell’allontanamento ad est di un eventuale fronte russo d’attacco, nonché una riduzione delle capacità offensive di Mosca, come ad esempio nel Baltico e nel Mar Nero

In sintesi, il danno per Mosca non riguarda la difesa ma la propria tradizionale postura offensiva e relative opzioni d’attacco.


🔹5) Mosca ha violato accordi ed impegni formali come il Memorandum di Budapest e i Protocolli di Minsk II, adducendo pretesti risibili ed interpretazioni speciose: non può quindi permettersi di dare lezioni di moralità, ovvero di diritti umani, civili e giuridici quelle volte che è qualcun altro a scegliere di ottenere per sé il proprio massimo vantaggio.


Note

(1) Gli incontri avvennero a Washington 2/2/90 (Baker, Genscher); Mosca 9/2/90 (Gorbachev, Baker); Mosca 10/2/90 (Gorbachev, Kohl); Camp David 24/2/90 (Bush, Baker, Kohl)

(2) il Patto di Varsavia si sciolse formalmente l’1/7/1991, mentre il ritiro delle truppe sovietiche fu graduale e prolungato: dall’Ungheria a partire dal marzo 1990 e si concluse nel giugno 1991; dalla Cecoslovacchia tra il 02/90 e 08/91; dalla Polonia dal 04/91 al 9/93; quello dalla ex DDR ebbe inizio nel 12/90 e venne completato solo nello 08/94.

(3) ricordiamo solo due celebri aforismi molto significativi. Il primo: “La NATO serve a tenere i russi fuori, gli americani dentro ed i tedeschi sotto” (Lord Ismay, primo segretario generale NATO). Il secondo: “Amo talmente tanto la Germania che ne preferivo due” (Giulio Andreotti).

(4) James Baker a Gorbachev: “Preferireste vedere una Germania unita al di fuori della NATO, indipendente e senza forze statunitensi o preferireste una Germania unificata legata alla NATO, con la garanzia che la giurisdizione della NATO non si sposterebbe di un centimetro verso est?”

(5) Nel solo biennio 1990/91 l’impegno finanziario tedesco verso l’URSS fu di 42,4mld USD, 10,9 dei quali relativi al mantenimento delle truppe sovietiche nella ex-DDR.

(6) Gli inglesi “riconoscono l’importanza di non fare nulla che possa pregiudicare gli interessi e la dignità sovietica” (Douglas Hurd, 11/4/90. Lo stesso Kohl giunse a dire che la dissoluzione dell’Unione Sovietica sarebbe stata una “catastrofe” e che chiunque spingesse per un risultato del genere fosse un “idiota”.

(7) Nel 1985 la spesa militare sovietica stimata aveva raggiunto il 21% del PIL rispetto al 17% del 1970. Nello stesso periodo quella USA era assestata sul 6,5%.

(8) All’interno dell’amministrazione USA ci erano percezioni diverse, come quella del DoD di Cheney e Wolfowitz, che invece consigliavano di “lasciare socchiusa” la porta della NATO.

(9) Per la NATO il principale vantaggio dell’ingresso dei baltici era l’allontanamento dagli stretti danesi della flotta russa, che veniva relegata nel collo di bottiglia di San Pietroburgo e nella vulnerabile enclave di Kaliningrad. Quindi un assetto difensivo che rafforzava il sea denial, riducendo in quell’area la proiezione di potenza di Mosca ma senza aumentare significativamente la vulnerabilità del territorio russo.

(10) Le B61, circa un 180, sono suddivise tra Belgio (Kleine Brogel), Germania (Büchel), Italia (Aviano e Ghedi), Paesi Bassi (Volkel) e Turchia (Incirlik).

(11) Nel periodo 1990-91 il governo USA mise a disposizione dell’URSS i segg. finanziamenti/crediti: 12/12/90 > 1,3mld/USD; 12/6/91 > 1,5mld/USD; 20/11/91 > 1,25mld/USD.

(12) Il principio di autodeterminazione dei popoli si applica a pochi casi specifici indicati dal Protocollo addizionale alla Convenzione di Ginevra del 1977 e nel Patto sui diritti civili e politici del 1996. (Altalex.com)



mercoledì 11 giugno 2025

Il leone e l'orso: la situazione al confine russo-finlandese

Hyökkäys. L'attacco. Edvard Isto, 1899. Museo Nazionale di Helsinki. Allegoria dell'aquila bicipite russa che aggredisce la nazione finlandese cercando di ghermirle il libro della Legge




Nota generale

Questo articolo va considerato come un ulteriore approfondimento di quanto già descritto nelle due puntate precedenti: "Nella tana dell'orso. Le infrastrutture militari russe nella penisola di Kola. Parte prima: le basi navali" e "Parte seconda: le basi aeree".


Introduzione

Cosa succede veramente lungo il confine russo-finlandese e quale scenario si configura alla luce della crescente tensione tra Mosca e l'Occidente?

Possiamo davvero dire di essere di fronte ad un preoccupante bild-up militare russo prossimo a trascendere in uno scontro diretto? 

Ed in questo caso potrebbe essere la Finlandia lo Schwerpunkt strategico in grado di consentire alla Russia di raggiungere il proprio obiettivo esistenziale, vale a dire un collasso politico della NATO tale da rendere l'alleanza incapace di reagire militarmente ad un'aggressione ad uno o più dei suoi stati membri?

Per rispondere a questa domanda occorre ritornare al dicembre 2022, vale a dire all'annuncio dell'allora ministro della difesa Shoigu di riforma dello strumento militare russo attraverso un piano di ristrutturazione e rafforzamento dei reparti ed assetti entro un orizzonte temporale limitato comprendente tra le altre cose, la riattivazione dei distretti militari di Leningrado (DML) e Mosca ( DMM) e lo scioglimento del Distretto Militare Occidentale (DMO).

Relativamente al DML, la riforma Shoigu prevedeva l'ampliamento delle strutture fisse, l'ammodernamento della rete ferroviaria e l'upgrading di diverse brigate al rango di divisioni: il tutto nell'ottica di costituire un nuovo comando di Armata e di affiancare al 14° Corpo d'Armata di Kola un ulteriore corpo d'armata (il 44°) per il settore Carelia. 

È interessante sottolineare come, a seguito di tale riforma, l'oblast di Kaliningrad, precedentemente parte nel DMO, sia stato trasferito al DML. Sul ruolo di Kaliningrad e la sua guarnigione (essenzialmente formata dall'11°Corpo d'armata), si veda l'articolo Bastione Kaliningrad su questo blog. 

Attraverso tale ristrutturazione le forze russe schierate nel DML dovrebbero salire da 30.000 a circa 80.000 effettivi, mentre per l'intero complesso militare russo la riforma Shoigu è previsto comporti una espansione da un milione ad 1.5 milioni entro il 2026.

Alla luce di tutto questo, nei paragrafi successivi proveremo a riassumere l'attuale dispositivo militare russo tra Murmansk e Leningrado.

Sopra, l'attuale Distretto Militare di Leningrado. Sotto, la precedente configurazione: in blu è rappresentato l'OSK Server. Come si può notare, la regione Carelia, indicata dalla freccia, faceva parte del Distretto Militare Occidentale (in rosso), disciolto nel gennaio 2024 





Le forze terrestri russe nella penisola di Kola

Fino all'inizio del 2024, il nucleo delle forze terrestri russe nel profondo nord era costituito da due brigate artiche e da una brigata fanteria di marina, con relativi supporti.

Queste forze dipendevano dal comando Flotta del Nord che dal gennaio 2021 aveva anche il ruolo di distretto militare sotto la denominazione di OSK Sever (Obedinonnye Strategicheskoe Komandovanie), con base a Severomorsk e giurisdizione sopra la penisola di Kola ed una larga porzione del territorio artico continentale occidentale russo, esclusa la Carelia.

Più specificatamente, dall'OSK Sever dipendevano le seguenti unità terrestri.

🔹14° Corpo d'Armata di Murmansk, costituito nell'aprile 2017 e formato da due brigate fucilieri specificatamente addestrate ad operare in ambiente artico, affiancate da una brigata fanteria di marina:

- 200a Brigata motorizzata artica (08275) con base a Luostari a circa 15km dal confine norvegese ed a 65 da quello finlandese. Comprende tre battaglioni motorizzati, un battaglione carri, tre battaglioni di artiglieria, due battaglioni antiaerei misti ed un battaglione anticarro. Buona parte dei materiali erano stati configurati come varianti polari dei modelli standard.

- 80a Brigata motorizzata (34667) di Alakurrti a sud di Murmansk ed a circa 60km dal confine finlandese. Comprende tre battaglioni motorizzati, un battaglione da ricognizione, un battaglione di artiglieria semovente 2S1 ed un battaglione antiaereo. Dispone di cingolati da neve ed altri veicoli specializzati ad operare in ambiente artico. 

🔹61a Brigata fanteria navale (38643) di Murmansk. Dipende dal comando Flotta del Nord ed è basata nella cittadella militare di Sputnik, 5Km ad ovest di Pechenga. Sì compone di un battaglione fanteria di marina, un battaglione aviotrasportato, un battaglione da ricognizione, una compagnia corazzata due battaglioni di artiglieria ed un battaglione antiaereo.

Mobilitate per l'invasione nel febbraio 2022 ambedue le brigate 200a e 61a continuano ad operare in Ucraina, unitamente ad almeno un gruppo di battaglione della 80a brigata con un centinaio di mezzi pesanti e possibilmente 800 uomini su 2.000. Tutte le unità avrebbero subito pesanti perdite, tanto che già nell'estate 2022 sarebbe stato fatto affluire in Ucraina un battaglione composito formato da volontari, guardie costiere, marinai e personale militare vario reclutato nella regione di Kola.

Nel gennaio 2024 la riforma annunciata da Shoigu porta allo scioglimento dell'OKS Sever ed alla inclusione della penisola di Kola nel nuovo Distretto Militare di Leningrado (DML) con conseguente spostamento del baricentro strategico del dispositivo militare russo settentrionale dal settore artico a quello Baltico, asseritamente come risposta all'ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO. 

Tale riforma produce come conseguenza immediata la perdita dello status di distretto militare da parte della Flotta del Nord, che viene quindi temporaneamente inclusa tra gli assetti subordinati al distretto di Leningrado prima di passare (dicembre 2023) sotto il diretto controllo del comando Marina di Mosca.

A sua volta risulta programmata l'attivazione di un comando d'armata combinata incaricato di porre sotto il proprio controllo il 14° Corpo d'Armata con le brigate 200a e 81a, nonché una nuova divisione motorizzata, costituita a Pechenga nel 2024 su due reggimenti fanteria (126° e 127°) cui viene assegnato il numero ordinale 71. Il nuovo comando d'armata, una volta a regime, dovrebbe ricevere anche la 61a Brigata fanteria di marina, fino al 2024 subordinata al comando Flotta del Nord.

Sempre come parte del 14° Corpo d'Armata, nel dicembre 2023 avrebbe inoltre completato la formazione, nel 425° Centro Mobilitazione di Lupche, la 104° Brigata artiglieria di Kandalaksha, poi anch'essa inviata in Ucraina.

Secondo l'intelligence norvegese, allo stato attuale le forze terrestri russe nella regione di Kola si sarebbero ridotte ad 1/5 rispetto a prima dell'invasione: una situazione temporanea che non deve trarre in inganno. A confermarlo è il viceammiraglio Nils Andreas Stensønes comandante del NIS, parlare di forze russe indebolite "è corretto dal punto di vista della consapevolezza della situazione, ma è sbagliato dal punto di vista della pianificazione".



Organigramma (semplificato) delle forze russe a Kola ed in Carelia



Le forze terrestri russe nel settore Carelia

La componente di terra delle forze russe nel settore Carelia si compone essenzialmente da due gruppi di forze, il primo dei quali è rappresentato dal 44° Corpo d'Armata, attualmente dislocato in Ucraina.

Si tratta di una unità di recente formazione, annunciata da Shoigu nel dicembre 2022 ed effettivamente attivata nel marzo 2024 contestualmente alla riattivazione del Distretto Militare di Leningrado, che ha quindi assorbito l'OSK Server. 

Tale ristrutturazione ha portato all'inclusione nel distretto di Leningrado dell'intera regione finno-baltica antistante Finlandia, Estonia, Lettonia e Lituania, creando così un comando strategico unificato esteso dal mare artico al confine bielorusso: il tutto allo scopo di coordinare le operazioni contro il fianco nord-orientale della NATO ed allo stesso tempo trasformare la Carelia in una Kaliningrad 2.0, ovvero una sorta di bastione in grado di proteggere i vitali collegamenti tra Mosca e la regione di Kola, sede di una considerevole parte del deterrente strategico russo.

Ne è conseguita l'attivazione, nella primavera 2024, del 44° Corpo d'Armata di Petrozavodsk, formato dalle seguenti unità:

-72a Divisione motorizzata. Sarebbe stata formata nel 2024 da tre reggimenti fucilieri ed una brigata d'artiglieria. Si troverebbe attualmente in Ucraina. Non è noto al momento quale località russa sia stata scelta come HQ/Guarnigione.

-128a Brigata motorizzata indipendente (41772), costituita nella primavera 2024 e basata a Sortavala, sulla sponda NO del Ladoga, a circa 30Km dal confine finlandese. La brigata si trova attualmente in Ucraina.


Oltre a ciò, sempre nel 2024 (maggio) è stata upgradata a 69a Divisione motorizzata (02511) la ex-138a Brigata autonoma di Kamenka, subordinata alla 6a Armata Combinata (31807) di Agalatovo, località sull'istmo di Carelia circa 70Km a SE di Kamenka. 

Tale armata, che è l'unità di più alto rango del DML e forma il nucleo del secondo gruppo di forze a protezione di San Pietroburgo, appare baricentrata in modo da coprire sia la parte SE del confine finlandese e l'istmo di Carelia (con la 69a), sia il confine estone presso Narva con la 68a Divisione motorizzata (29760) di Luga, 124Km a SE di Narva. Negli organici d'Armata sono presenti anche due brigate di artiglieria semovente (la 9a di Luga e la 268a di Pushkin) ambedue in Ucraina, nonché una brigata missilistica antiaerea (la 5a di Gorelovo e Lomonsov)

Attualmente la 69a Divisione si trova dislocata in Ucraina, così come la 68a, a sua volta formata nel gennaio 2024 per espansione della ex-25a Brigata fucilieri (29760) di Vladimirsky, località presso il confine estone, tra Pskov e Luga.

Vladimirsky lager, sede della 25a Brigata motorizzata, ora ampliata a 68a Divisione


Sempre dalla 6a Armata dipende la 26a Brigata missili (54006) di Luga; formata da tre battaglioni dotati di Iskander-M, si trova sul fronte ucraino e risulta essere stata duramente colpita in tempi recenti. 

A Promezhitsy presso Pskov, circa 170Km a sud di Narva, nel settore della 6a Armata ma subordinata direttamente al comando DML si trova la base della 2a Brigata Spetsnaz del GRU  (64044), formata da tre battaglioni. Inviata in Ucraina, dove si trova tutt'ora, la brigata risulta abbia subito pesanti pesanti perdite durante uno dei primi tentativi di prendere Kharkiv il 27 febbraio 2022.

Pskov è sede della 76a Divisione da assalto aereo (07264), una nota unità aviotrasportata subordinata al comando VDV, forte di tre reggimenti. Dispiegata in Ucraina fin dal febbraio 2022, la divisione ha subito gravissime perdite ed risulta documentalmente coinvolta nell'eccidio di Bucha.

Secondo quanto riferito dal Ministero della Difesa russo, nell'aprile 2024 sarebbe stata costituita ed assegnata al DML la nuova 70a brigata missilistica dotata di Iskander-M.

A detta del Cremlino l'attivazione di questa unità, potenzialmente in grado di usare testate nucleari tattiche, sarebbe una "risposta" all'ingresso della Finlandia nella NATO. Non risultano al momento dettagli circa la collocazione della brigata, che dovrebbe entrare a fare parte del 44° Corpo d'Armata.

La base di Kamenka sede della 138a Brigata, dove recentemente restaurata e potenziata. Nel punto indicato dalla freccia sono state installate un centinaio di tende militari (non presenti nella foto) 



Hyökkäys: minaccia vera o presunta?

Allo stato attuale, considerando l'impegno in Ucraina, la componente militare terrestre russa nel settore Kola-Carelia antistante il confine finlandese appare piuttosto ridotta e non in grado di rappresentare una minaccia concreta nell'immediato futuro.

L'ampiezza del territorio, la scarsità delle forze di Mosca presenti in teatro e la solidità militare di paesi come Finlandia e Svezia non giocano a favore di una operazione militare russa nel prevedibile futuro né in forma limitata né tantomeno su larga scala.

A questo vanno aggiunte le gravi perdite in uomini ed equipaggiamenti subite in Ucraina che richiederanno tempo e risorse per essere ripianare adeguatamente, vale a dire con personale addestrato e mezzi moderni.

Tutto bene quindi?

Non esattamente. Il fatto che Mosca non sia attualmente pronta per uno scontro militare sul fianco nord della NATO non significa che non lo potrà essere in un futuro non troppo lontano, una volta concluso in qualche modo l'impegno in Ucraina. Si consideri quanto segue.

🔹Le capacità russe di rigenerare le proprie forze, quantomeno in termini numerici rimangono elevate con una media di oltre 30.000 reclute al mese sia pure sommariamente addestrate. Ne deriva quindi, una volta terminata la guerra in Ucraina, una ricostruzione completa degli organici prebellici stimabile in circa tre anni, fermi restando i tempi più lunghi necessari  al riequipaggiamento dei mezzi, in particolare quelli pesanti.

🔹le capacità operative della Flotta del Nord rimangono sostanzialmente invariate rispetto a prima dell'invasione, fatta eccezione per la fanteria di marina. La Flotta è in grado di condurre attività offensive-difensive entro i limiti delle green-water, nonché di infliggere gravi danni a forze ostili che tentassero di introdursi nella bolla di Barents (Bastione Ovest).

🔹Invariata rimane anche la deterrenza nucleare garantita dagli SSBN, mentre il recente  esodo dei bombardieri strategici dalla base si Engels è solo temporaneo e legato alla guerra in Ucraina. Le capacità d'attacco con gli SSN restano le stesse.

🔹Non è necessario per la Russia raggiungere la superiorità militare sulla NATO e neanche la parità assoluta, per tentare qualche azione di forza in grado di mettere in grave difficoltà l'alleanza in termini politici. Mosca adotta il principio della "correlazione delle forze" nella pianificazione del suo approccio strategico: ciò significa che può coglie l'opportunità di agire ogni qual volta se ne presenti l'occasione, indipendentemente dall'avere o meno superiorità su ciascuno dei singoli fattori (politici, militari, economici, ideologici, sociali, ecc.), che compongono il problema strategico; ciò che conta per Mosca è che ad essere favorevole sia la valutazione combinata dei fattori, tale da creare quella massa critica necessaria a farle raggiungere l'obiettivo, compresa una superiorità di forze a livello locale, anche solo temporanea ma facilmente raggiungibile con l'accumulo delle risorse disponibili. In sintesi le probabilità di un'azione russa non sono legate unicamente alle proprie capacità militari e sarebbe fuorviante per l'Occidente, considerarle un parametro di valutazione assoluto.

🔹Mosca può quindi scegliere di agire all'apparire di una finestra di opportunità favorevole, approfittando di scenari a basso costo e ad alta redditività e sfruttando sorpresa,. velocità e spregiudicatezza come moltiplicatori di forze in grado di ostacolare se non vanificare la reazione di un avversario disorientato dal fatto compiuto. Ne abbiamo avuto un esempio-scuola nell'annessione della Crimea 2014, ed anche l'invasione dell'Ucraina sarebbe potuto esserlo se solo si fosse conclusa in tre giorni o poco più.

🔹Nei prossimi anni, mentre procederà ad un massiccio programma di riarmo e militarizzazione totale della società, Mosca perseguirà lo sfruttamento di scenari d'opportunità massivamente dannosi per la stabilità dell'Occidente, contando sulla riluttanza europea a farsi coinvolgete in uno scontro diretto con la Russia, sulla sua lentezza decisionale, sulle sue divisioni interne e sulla sua impreparazione sociopsicologica. Uno di questi scenari nonché di gran lunga il più efficace in termini di costo-efficacia (e quindi largamente prevedibile) è il Suwalki-gap di cui abbiamo già parlato. Molto più inaspettato ma anch'esso assai redditizio per Mosca potrebbe invece essere uno scenario Svalbard, in cui Mosca viola la sovranità norvegese sulle isole contando sul disimpegno americano e la difficoltà di risposta del resto della NATO. Tale scenario, su cui magari ritorneremo con un prossimo articolo, potrebbe facilmente includere un deal con Trump relativamente alla Groenlandia.



Chi scrive non vede i presupposti per un'azione russa su larga scala contro la Finlandia nel breve-medio periodo, per via delle ragioni esposte precedentemente, che la renderebbero non risolutiva per Mosca oltre che estremamente onerosa e quindi non conforme al principio di correlazione delle forze. In tal senso appare improbabile che la Finlandia possa mai diventare lo Schwerpunkt di un attacco russo su vasta scala.

È invece plausibile che il Cremlino possa voler utilizzare il potenziale fronte finlandese come parte di una vasta maskirovka strategica intesa a tenere inchiodate, ovvero ad attrarre, consistenti forze NATO ad alta specializzazione in caso Mosca scegliesse di muovere contro i punti deboli della NATO

Non c'è dubbio infatti che qualsiasi operazione russa contro Suwalki, le Svalbard o eventuali altri settori che Mosca ritenesse vulnerabili, verrà accompagnata preventivamente da attività non convenzionali e provocazioni lungo tutti i 2.530 km del confine NATO/Russia, in modo da seminare caos ed incertezza ed eventualmente cogliere qualche ulteriore opportunità.

Tale problema si pone in particolare lungo la frontiera orientale russo-finlandese, oggi come oggi scarsamente protetta e quindi potenzialmente a rischio di incursioni SOF, infiltrazioni e sabotaggi contro la rete autostradale e ferroviaria, senza dimenticare quella energetica ed in particolare la centrale nucleare di Loviisa, situata su un isolotto costiero del Golfo di Finlandia a 80km dal confine russo e quindi vulnerabile ad una incursione dal mare.


Secondo diversi analisti potrebbero volerci dai tre ai cinque anni, dopo la fine del conflitto in Ucraina affinché la Russia, in piena economia di guerra, torni a rappresentare una minaccia concreta ed attiva per l'Occidente e la NATO: un lasso di tempo che occorre sfruttare per mettere a punto contromisure dissuasive nei confronti di Mosca, con particolare attenzione alle vulnerabilità NATO, compresa l'attitudine della società civile europea, ancora in larga parte disconnessa da una realtà via via più allarmante.

Nel 2024 la Russia ha destinato il 30% del proprio bilancio alle spese militari; in Europa siamo al 2% di media salvo poche lodevoli eccezioni. Ne deriva una forbice che si allarga rapidamente non tanto in termini di capacità bensì di attitudine complessiva delle impreparate società occidentali. Ci restano quindi cinque anni, per prepararci materialmente e psicologicamente al redde rationem. Cinque anni, cioè domani, perché dopodomani potrebbe essere già tardi.



Il presente articolo verrà integrato e completato da una appendice con dettagli sulle singole basi russe a Kola ed in Carelia.